Politica

La lunga marcia di fini e l’ombra del Quirinale

di Edoardo Sirignano -


“Il governo farebbe meglio a non occuparsi di temi come quelli legati ai diritti civili”. Poche parole bastano a sintetizzare il ritorno di Gianfranco Fini in politica. L’ultimo segretario dell’Msi, dopo anni di silenzio, si riprende la scena e non da un palcoscenico qualunque, ma dal talk più rosso d’Italia. Ecco perché la tribuna di Lucia Annunziata finisce col riaprire un film, di cui da anni si aspettava il sequel. Stiamo parlando della svolta di Fiuggi, quel momento della storia nazionale in cui il Movimento Sociale Italiano abbandona i riferimenti ideologici al fascismo per qualificarsi come forza legittimata a governare. Un evento che si lega a doppio filo con il cammino intrapreso da Giorgia, la quale sveste i panni della militante sovranista per indossare il tailleur da premier. Una svolta che non significa dimenticarsi del passato: siamo di fronte al governo più identitario e politico degli ultimi cinquanta anni. Vuol dire, invece, adattarsi a un contesto che richiede approcci differenti, un modus operandi nuovo. Non è quindi un caso che a spiegare tale necessità sia appunto il delfino di Almirante, chiamato dai suoi ex amici “il traditore”. La battaglia di oggi, però, è ancora più complessa. Per chiudere il processo avviato da Meloni servirà rivedere la parola magica chiamata “conservatorismo”, corno di Gondor per i Dc 2.0. Non a caso l’ultimo “Atreju” è stato il Natale dei conservatori. Un cambio look che ha consentito alla romana di sfondare a centro e portarsi a casa i consensi dei moderati delusi dalla sinistra (Fratelli d’Italia, con i soli voti di Alleanza Nazionale, non avrebbe avuto le percentuali necessarie per eleggere sia il presidente del Consiglio che quello del Senato, nonché per prendere oltre la metà delle caselle disponibili nello scacchiere governativo). Per fare asso pigliatutto resta solo un’ultima grande impresa: portare un uomo con una storia di destra al Colle. Detto ciò, per andare al Quirinale non basta la riconciliazione con lo scudocrociato. Bisogna fare un passo ancora più lungo. Lo sa bene, chi è esperto di mutamenti radicali. Non è un caso, pertanto, che a parlare di “laicismo” sia proprio chi ha staccato, senza se e senza ma, la spina con il Ventennio. Qualcuno parla già di piano per succedere a Mattarella o meglio ancora di tattica del vecchio Gianfrancone per sedersi tra i corazzieri. Una cosa è certa, la marcia su Roma del duemila per andare a buon fine dovrà dare la possibilità a qualcuno che la pensa diversamente di sposare la causa. Considerando il mondo attuale, non bastano neanche i Patti Lateranensi 2.0. L’unica via per accaparrarsi l’eredità di Sergio vuol dire accettare i diritti degli omosessuali, rivedere quel concetto di famiglia tradizionale e sposare cause, fino a qualche anno fa neanche pronunciate dagli eredi del fascismo. Per una missione del genere esiste una sola strada: riciclare l’uomo di Fiuggi, colui che è riuscito a convincere i neri dell’opportunità di andare sotto braccio con i chierichetti. “In quel momento – spiega ai microfoni l’ex presidente della Camera – scrivemmo che l’antifascismo era stato essenziale per il ritorno dei valori democratici”. Una presa di posizione da cui neanche la neo presidente del Consiglio ha avuto il coraggio di prendere le distanze. Se la piccoletta della Garbatella ha scalato le gerarchie è stato pure grazie alla sua capacità di recepire quella lezione.


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