Politica

LA LUNGA NOTTE DEL PD IN CONCLAVE E SPUNTA MELONI

di Domenico Pecile -

Marco Meloni, PD


Non c’è un fronte aperto dove il barometro politico segni bel tempo. Nel Pd, dopo il tentativo di un’impietosa autoanalisi post-voto durata soltanto le space du matin, lo scontro è ormai totale e i fronti aperti tanti e tali da fare presagire che la stagione del possibile cambiamento di passo, di strategia, di alleanza possa trasformarsi in una via crucis. La nomina del futuro segretario, la nomina delle vicepresidenze con il caso Zan, la rappresentanza femminile all’interno del Parlamento vissuta dalle donne del Pd come uno schiaffo ultra maschilista, la base e i territori che si sentono avulsi: ecco le sabbie mobili che rischiano di inghiottire le speranze di una ripartenza grintosa. E il fil rouge di ogni dilemma è il Che fare? di un partito che non sa più dialogare nemmeno con il suo elettorato. Clemente Mastella fotografa in modo impietoso la situazione. “Il Pd – dice – non è il Pd per cui era nato. Le difficoltà non sono di oggi. Dal 2006 non ha mai vinto un’elezione. Bisogna chiedersi perché gli operai votano per la Lega”. Parole che fanno il paio con l’accorato appello di Brando Benifei, Capo delegazione Pd al Parlamento europeo. Che proprio ieri ha rinvigorito la richiesta, avanzata da gruppo di intellettuali guidato da Rosy Bindi, di aprire una fase costituente. Il suo appello per affermare che prima di nuovi leader e vecchie alleanze servono, “finalmente” nuove energie e idee chiare”. Marco Misani, responsabile economico del partito, spiega invece che esiste sì il tema delle idee ma anche quello della leadership, visto che la Meloni ha stravinto e nessuno ricorda una sua proposta. A infiammare ulteriormente il dibattito era stato il veto che buona parte del Pd aveva messo sulla candidatura di Alessandro Zan alla vicepresidenza della Camera come risposta alla nomina del leghista ultra cattolico, Lorenzo Fontana. I “nemici interni” di Zan hanno stigmatizzato lo striscione esibito da questi in Paramento con il quale Fontana veniva definito omofobo e amico di Putin. Eppure, era stato lo stesso Letta a spalancare la strada alla sortita di Zan quando, riferendosi alla nomina di La Russa e di Fontana, aveva dichiarato che “l’Italia non merita questo sfregio”. E sulla vicenda sempre ieri è intervenuto anche l’attore, conduttore e giudice di Ballando con le stelle, Fabio Canino. “La vera colpa della presenza di un omofobo alla presidenza della Camera è proprio del Pd. Se fosse un partito serio e normale – ha tuonato – invece di pensare alle poltrone e alle vendette, avrebbe pensato a portare avanti un programma, una differenza. E’ chiaro che se lasci spazio alla destra italiana, questa nomina i suoi personaggi, che purtroppo nella maggior parte dei casi non sono di grande rilievo”. “Il Pd – ha rincarato ha lasciato un vuoto morale e di valori e ha fallito in tutto”. Ma le spine di Letta, non riguardano soltanto questa convulsa fase congressuale e la nomina della vicepresidenza della Camera (per il Senato si fa il nome di uno colonnello, Marco Meloni e a quel punto gli orlandiani indicherebbero Andrea Martella come questore) ma anche quella dei capigruppo di Camera e Senato. La sua intenzione sarebbe quella di riconfermare le uscenti, Debora Serracchiani e Simona Malpezzi. Ipotesi questa che, soprattutto nel caso della Serracchiani, incontra l’ostilità di una importante fetta di partito donne comprese. L’ex presidente della Regione Friuli Venezia Giulia è infatti accusata di essere stata una delle candidate che ha nuociuto alla elezione di altre donne visto che si era presentata in due collegi. Ma c’è anche l’ipotesi che la stessa Serracchiani non ambisca a quell’incarico perché sarebbe targato-Letta, cosa che potrebbe non essere gradita al futuro segretario. Ecco perchè avanza l’ipotesi Anna Ascani, ormai sempre più punto di convergenza tra le varie mozioni dem. Strada in discesa, invece, per la Malpezzi a Palazzo Madama come si vocifera a livello romano. A contendergli la casella, comunque, ci sono sempre Valeria Valente e Anna Rossomando. E nel Pd, poi, tiene banco il dibattito sui possibili voti Dem per La Russa, al Senato. Sul caso è intervenuto anche Andrea Crisanti che si dichiara “neofita e indignato”, ma anche incredulo sui sospetti inesistetti che i Dem abbiamo votato La Russa. Quello della scarsa rappresentanza delle donne in Parlamento (sono il 30 per cento) è un’altra spina per Letta. Non soltanto si era detto dispiaciuto, ma aveva ammesso la débâcle. Scuse che però le donne del Pd aveva rimandato al mittente, accusando il vertice del partito di avere volutamente imbrogliato le carte, tranne il favore concesso ad alcune candidate come nel caso della Serracchiani. Nel vertice nazionale del post voto, la candidata alla segreteria, Paola De Micheli, era stata determinata nell’affermare che “abbiamo strozzato la voce e il talento delle donne”.


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