Politica

Schillaci divide, la posta è il Veneto: a Fdi picche dalla Lega

di Ivano Tolettini -


L’assedio al ministro della Salute Orazio Schillaci, tecnico in quota FI, ha i toni di una resa dei conti politica. Una parte del centrodestra ha alzato le catapulte contro l’ex rettore di Tor Vergata, reo di avere azzerato dopo appena dieci giorni la commissione consultiva sui vaccini. Una decisione presa dopo le proteste della comunità scientifica per la presenza di due componenti vicini a posizioni antivacciniste. Un passo indietro accolto dalle opposizioni come segnale di serietà, ma giudicato da molti nella maggioranza un cedimento inaccettabile. Il primo a storcere il naso era stata Giorgia Meloni. Poi sono arrivati i colpi più duri: Matteo Salvini ha parlato di “ferita da richiudere” e di decisione “scientificamente e culturalmente” scorretta, mentre Francesco Lollobrigida ha difeso il pluralismo delle idee, anche contro il pensiero dominante. Più netto Stefano Benigni di Forza Italia: «Non c’è spazio per derive no vax». Le opposizioni hanno colto l’occasione: Francesco Boccia (Pd) ha parlato di “feeling continuo della destra con i no vax”, mentre Riccardo Magi (+Europa) di “ideologia antiscientifica pericolosa”. Ma dietro questo scontro su Schillaci si staglia la vera partita: le Regionali, soprattutto in Veneto. Per la Lega, in difficoltà nazionale ma radicata al Nord, il tema vaccini diventa identitario: no ai dogmi, sì alle voci fuori dal coro. È il modo con cui Salvini prepara la gestione dell’eredità di Luca Zaia. Il quale forte del 44,6% raccolto nel 2020 con la lista personale, non è più ricandidabile, ma è il convitato di pietra. Salvini vuole riproporre la lista Zaia, convinto che garantisca la vittoria larga. Meloni e FdI temono invece che la lista cannibalizzi voti, riducendo il peso dei meloniani in Consiglio e nel futuro esecutivo di Palazzo Balbi. Il nome più probabile per il dopo-Zaia è quello del segretario regionale leghista Alberto Stefani, fedelissimo di Salvini. Ma dentro FdI cresce l’irritazione: Luca De Carlo e Raffaele Speranzon spingono per un proprio candidato, temendo che la lista Zaia finisca per pesare più dei meloniani al tavolo della distribuzione degli assessorati. Per entrambi, un nome forte servirebbe a blindare la presenza del partito e a evitare il ridimensionamento a favore della Lega. Sul fondo resta la variabile Venezia: nel 2026 si voterà per il sindaco della Serenissima per il travagliato post Brugnaro. L’eventuale candidatura di Speranzon entrerebbe in rotta di collisione con l’ipotesi di discesa in campo di Zaia. Ecco allora che le invettive di Salvini contro Schillaci assumono un significato politico più che scientifico. La Lega marca le differenze identitarie, parla a un pezzo di elettorato insofferente alle imposizioni sanitarie e rivendica autonomia. FdI, invece, si accredita come partito dell’affidabilità istituzionale Un equilibrio fragile che può pesare sulla coalizione. Perché se Meloni dirà “no” alla lista Zaia, Salvini potrebbe rilanciare con una corsa solitaria della Liga. Uno scenario che a Roma aprirebbe una crepa enorme. Al tempo stesso, la premier non può concedere sia il Veneto sia Venezia senza mettere a rischio la leadership interna al centrodestra. In politica i numeri contano e finora sono a favore di FdI. In definitiva, l’affaire Schillaci è solo la punta dell’iceberg: simbolo involontario di una frattura che riguarda non solo i vaccini, ma il futuro assetto del centrodestra nel Nord e il ruolo della Lega nella coalizione.


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