Cronaca

L’ANALISI – La morte di Sharon si doveva evitare

di Francesco Da Riva Grechi -


Moussa Sangare nella notte tra il 29 ed il 30 luglio in via Castegnate a Terno d’Isola, spinto da una sensazione che non sapeva spiegare, come ha dichiarato alla Gip, ha ucciso Sharon Verzeni. La narrazione dell’omicidio che si è potuta leggere su questa testata evidenziava tra gli altri due elementi fondamentali: l’età, 33 anni la ragazza e 29 il suo assassino, e la premeditazione. Il primo aspetto non ha un rilievo giuridico immediato ma costituisce il dato che più inquieta i genitori e i ragazzi che attraversano le nostre strade, da quelle delle metropoli a quelle dei paesi e dei borghi. La versione tragica, beffarda e dolorosa della serendipità (serendipity) che indica l’occasione di fare scoperte per puro caso o di trovare una cosa non cercata e imprevista mentre se ne stava cercando un’altra, ha avuto un esito troppo brutale. Secondo chi scrive bisogna ridurre l’abisso che divide la gravità della violenza nelle nostre strade e la sonnolenza urticante che si trova nelle risposte delle istituzioni. L’assassino Moussa Sangare, per suoi motivi insondabili, ad un certo punto della sua vita ha scelto di fare il male, in famiglia, per strada, ovunque, ha picchiato, ha inferto ferite fisiche e morali e per questo è stato denunciato ma non fermato. È rimasto libero fino al momento nel quale ha ucciso perché nel nostro ordinamento costituzionale la funzione della sanzione da comminare a chiunque è sempre rieducativa e non altra. Per come viene applicata oggi, questa funzione esclude che si possa mettere in sicurezza definitivamente un criminale anche se ha già ampiamente dimostrato di essere un soggetto dal quale ci si può aspettare solo violenza e morte. Qualsiasi sanzione, anche preventiva ed immediata, non può svolgere la funzione primaria di tutelare l’incolumità pubblica e preservare le vittime da aggressioni mortali perché deve necessariamente tendere alla rieducazione del reo. Troppe volte Moussa Sangare ha dimostrato di aver scelto il male senza riserve, e l’ordinamento, che non poteva o voleva applicare misure di tutela per le potenziali vittime, ha rinunciato a proteggere tutti i bersagli che ogni giorno incontrava e contro i quali ha sempre voluto esplodere il suo desiderio di colpire. E qui entra in scena il secondo elemento, oltre l’età, la premeditazione, ed in particolare una premeditazione covata e sedimentata per anni, annebbiata dal consumo di droga, anche questo frutto di scelta e di decisione, di uccidere la propria coscienza perché a sua volta la mano violenta ed assassina sia libera di colpire senza freni inibitori di sorta. Le droghe sintetiche che per anni ha consumato Moussa Sangare fino ad uccidere hanno infatti questo effetto: liberare da ogni vincolo di umanità e morale la violenza sempre più ceca ed omicida del tossicodipendente. E l’ordinamento italiano lo ha sempre voluto libero, per essere sicuro di non pregiudicare la possibilità che la pena alla quale un domani potesse essere condannato svolgesse una funzione rieducativa. Come evitare un altro caso? Anzitutto, mettendo la vittima al centro del sistema penale, prima che sia davvero tale e sia troppo tardi: significa individuare gli aggressori che hanno già colpito ed impedire loro di farlo nuovamente. Significa bilanciare l’interesse del potenziale aggressore a non essere condannato prima di un fatto che non ha ancora compiuto con l’interesse collettivo a rimanere al sicuro rispetto a chi reati di violenza li ha già commessi, che usa droghe che spingono ad uccidere senza neanche accorgersene, come quelle che usano i terroristi. Deve essere oggettivato l’interesse della collettività, tutta la collettività, ad essere protetta, senza che sia consentita nessuna vittima individuale. L’interesse del potenziale bersaglio può essere protetto prima che sia troppo tardi solo se l’interesse alla sicurezza dell’intera comunità inizia ad essere tutelato come un bene comune prioritario.


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