Esteri

La mossa di Putin: così la guerra può sconfinare in Moldavia

di Ernesto Ferrante -


Il presidente russo Vladimir Putin ha revocato un decreto del 2012 che sanciva “il rispetto della sovranità, dell’integrità territoriale e dello status neutrale della Repubblica di Moldova nel determinare lo status speciale della Transnistria”, la regione separatista che nel 2014 ha chiesto l’adesione alla Federazione Russa. Il provvedimento è stato pubblicato sul sito web del Cremlino, dove si legge che la decisione è stata presa per “garantire gli interessi nazionali della Russia in relazione ai profondi cambiamenti in atto nelle relazioni internazionali”.
Alexandru Flenchea, presidente moldavo della commissione congiunta di controllo nella zona di sicurezza intorno alla Transnistria, ha precisato che la cancellazione non significa che Putin “stia abbandonando la nozione di sovranità moldava”. “Il decreto è un documento politico che implementa il concetto di politica estera della Russia”, ha spiegato Flenchea a Publika-TV, sottolineando che “la Moldavia e la Russia hanno un accordo politico di base che prevede il rispetto reciproco dell’integrità territoriale dei nostri paesi”.
Le relazioni tra Mosca e Chisinau, che spinge per aderire all’Ue, sono molto tese. I russofoni della piccola striscia di terra situata a Est del fiume Nistru si separarono dalla Moldavia nel 1990, un anno prima della dissoluzione dell’Unione Sovietica, temendo una sua fusione con la Romania. Dopo un conflitto di breve durata nel 1992, la situazione sembrava essersi quasi del tutto stabilizzata. Ma le fibrillazioni ai confini e l’escalation in Ucraina, rischiano di far aprire un altro fronte di scontro.
Toni tutt’altro che diplomatici ha usato Dmitry Medvedev per replicare alla richiesta di Joe Biden di ritirare le truppe dall’Ucraina: “Comunque chi è quello strano nonno che parlava con uno sguardo perso dalla Polonia? Perché si rivolge al popolo di un altro paese in un momento in cui ha sufficienti problemi nel suo?”.
Alla guerra, secondo il vicepresidente del Consiglio di Sicurezza Nazionale russo, si arriva in un solo modo: “Se gli Stati Uniti smettono di fornire armi al regime di Kiev, la guerra finirà”. Escluso un ritiro dei suoi soldati alle condizioni attuali: “Se la Russia concludesse l’operazione militare speciale senza una vittoria, finirebbe in frantumi”.
Commentando su Telegram il discorso di Putin e l’annuncio della decisione di sospendere la partecipazione della Russia al New Start, l’ex presidente ha lanciato un avvertimento a Washington: “Se gli Stati Uniti vogliono sconfiggere la Russia, allora abbiamo il diritto di difenderci con qualsiasi arma, compreso il nucleare”.
Tutti gli scambi di informazioni previsti nel quadro del Nuovo Trattato per la riduzione delle armi strategiche, sono congelati. A rivelare questo dettaglio è stato il viceministro degli Esteri russo, Sergei Riabkov. “Tutto questo è sospeso. Tutti gli scambi di informazioni, tutti gli elementi dell’intesa relativi alle attività di verifica non vengono attuati, tenendo conto dell’annuncio di sospensione e della prevista esecuzione legislativa della decisione”, ha chiarito Riabkov.
La Duma di Stato e poche ore dopo anche il Consiglio della Federazione hanno votato all’unanimità il provvedimento di sospensione dell’accordo sottoscritto con gli Stati Uniti nel 2010 ed esteso nel 2021.
Bruno Kahl, capo del Bnd, l’intelligence tedesca per l’estero, ritiene che la leadership moscovita stia puntando “a concludere le ostilità sul campo di battaglia ottenendo una posizione di vantaggio da cui poi poter dettare i termini di un eventuale futuro accordo”. La Russia, a suo avviso ha “un ulteriore potenziale di mobilitazione” anche di “un milione di persone se questo venisse considerato necessario al Cremlino”. A ribaltare l’esito del confronto militare, che al momento appare segnato, potrebbero essere gli aiuti esterni a Kiev: “Ma sul lungo periodo diventa una lotta difficile e potrà concludersi con un successo da parte ucraina se l’Occidente darà un appoggio continuo”.
Gli Stati membri dell’Ue, riuniti ieri nel Coreper, non sono riusciti a trovare un accordo sul decimo pacchetto di sanzioni contro la Russia. A quanto si è appreso a Bruxelles, la discussione riprenderà in un’altra riunione del comitato dei rappresentanti permanenti presso l’Ue prevista per oggi pomeriggio, con l’obiettivo di trovare un’intesa entro il 24 febbraio.
C’è distanza sul nuovo criterio di designazione dei familiari più stretti degli oligarchi, che è stato richiesto energicamente dalla Polonia e dei Paesi Baltici. Un altro punto sul quale le posizioni divergono, è costituito dagli obblighi di rendicontazione in capo al settore finanziario, una misura voluta dalla Commissione Europea per rafforzare il monitoraggio dei beni immobilizzati e congelati in capo a soggetti russi raggiunti dalle sanzioni.


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