Attualità

“La ’Ndrangheta ha conquistato il Nord. La politica da anni sta a guardare”

di Ivano Tolettini -


“Le condanne per associazione mafiosa inflitte dal tribunale di Verona per la presenza del clan calabrese Giardino, affiliato alla cosca Arena-Nicosia di Isola Capo Rizzuto, che infiltra il tessuto economico del Nord Est non può stupire. Anzi, mi stupisco che qualcuno si stupisca. Il fenomeno mafioso in Veneto è datato. La questione nodale nel contrasto al crimine organizzato da Sud a Nord è politica. Manca la tensione ideale costante del ceto politico per sconfiggere le mafie, che sono, non mi stanco mai di ripeterlo, un prodotto sociale e culturale, prima ancora che criminale”. Il ragionamento di Piernicola Silvis (nella foto), scrittore e docente, questore di Foggia fino al 2017 quando è andato in pensione dalla Polizia di Stato per raggiunti limiti di età, è serrato e non fa sconti.
Non vede nell’attuale governo di centrodestra la dovuta sensibilità?
Non vorrei essere frainteso. Quando parlo di politica non mi riferisco a uno schieramento piuttosto che all’altro, ma alla struttura politica che determina le scelte dello Stato. Vedo la mancanza di tensione a destra come a sinistra. Adesso la ’ndrangheta e Cosa Nostra non ammazzano più magistrati e appartenenti alle forze dell’ordine, perciò dall’opinione pubblica non sono più percepite come un pericolo. Mentre proliferano nel ventre della società facendo affari, ammorbando l’economia legale che diventa illegale. Il Dna della ’ndrangheta è di fare affari e di cercare appoggi nel ceto politico che di volta in volta comanda. Il colore non conta.
Lei quando guidava la squadra mobile di Vicenza ha catturato il numero due di Cosa Nostra, Piddu Madonia, nel settembre 1992, e fu la prima riposta dello Stato alle stragi di Capaci e via D’Amelio in cui persero la vita i magistrati Falcone e Borsellino e i rispettivi uomini delle scorte. Poi ha diretto la mobile di Verona. Il Nord Est lo conosce bene.
Verona è una città particolare. È la più importante del Veneto dal punto di vista economico perché è posta al crocevia tra Lombardia e Veneto, e tra Nord Est e Trentino Alto Adige sulla direttrice per il Nord Europa. Ricordo che nel marzo di 31 anni fa, era il 1992, a Sommacampagna non lontano da Verona, il calabrese Massimiliano Romano uccise in un conflitto a fuoco i poliziotti Ulderico Biondani e Vincenzo Bencivenga, venendo a sua volta ucciso, perché dovevano notificargli un provvedimento restrittivo di residuo di pena. Un fatto che di per sé non giustificava una simile reazione. Evidentemente temeva che si scoprisse dell’altro sul suo conto. Per me fin da allora fu sintomatico della presenza del crimine organizzato, in particolare della ’ndrangheta. Pochi mesi dopo a Vicenza prendemmo Madonia. Ma prima c’era stato ad Arzignano il sequestro Celadon di cui mi occupai. La matrice sempre calabrese.
Verona, del resto, fin dagli anni Settanta è stata una piazza importante dello spaccio di droga.
Certo, perché è molto ricca, molto esposta, ed ha sempre fatto gola al crimine organizzato. E la ’ndrangheta è la criminalità più estroflessa. Lo è certamente anche Cosa Nostra, ma da anni la ’ndrangheta è diventata più potente perché è molto più organizzata. Come si dice in gergo è una holding.
Dipende anche dal fatto che ha meno pentiti rispetto a Cosa Nostra?
La strategia di aggressione allo Stato dei corleonesi voluta da Totò Riina ha determinato una ferma risposta che ha indebolito Cosa Nostra. A trarne beneficio è stata la ’ndrangheta che è molto strutturata sul territorio nazionale, europeo e anche mondiale. La sua sede centrale è a Reggio Calabria con il suo pantheon alla Madonna di Polsi, con varie dislocazioni a livello internazionale. Se le ’ndrine sono a Toronto e New York, come lo sono, figuratevi a Verona e nel Veneto.
La recente cattura del boss Matteo Messina Denaro come la legge?
Un’operazione importante, non c’è dubbio, ma nonostante il clamore, la fine della sua latitanza è utile per fare eventualmente nuova luce su fatti passati, come l’epoca stragista del 1992, non tanto per l’oggi, perché da quanto emerge non aveva questi grandi contatti con esponenti di spicco di Cosa Nostra, che è ridimensionata.
Torniamo alla questione politica del fenomeno mafioso. Quanto conta l’opinione pubblica nell’orientare le scelte del ceto politico?
Molto, perché la politica di oggi cerca di dare alle gente ciò che essa vuole. Perché la politica, attraverso la ricerca legittima del consenso, ma non può essere il tutto, vellica la pancia della gente. Se ad esempio la ’ndrangheta o la mafia non uccidono, c’è la percezione generale che il fenomeno criminale sia meno pericoloso. Invece, è il contrario, perché gli ingenti ricavi degli affari illeciti servono per acquistare alberghi, ristoranti, locali, finanziare aziende che entrano nel circuito dell’illegalità. I politici, invece, dovrebbero avere grande tensione verso il fenomeno mafioso, assieme a quelli della corruzione e dell’evasione fiscale, che sono i problemi più seri dell’Italia”.

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