Editoriale

La polemica della Scala, il teatro dei vandali

di Tommaso Cerno -


Non c’è nessuna differenza fra gli eco vandali che hanno imbrattato col Nesquik la Basilica di San Marco e la nostra classe politica, il sindaco di Milano Beppe Sala in testa, che fa una rissa pubblica perché non vuole quella sedia al teatro ma un’altra. E tira in ballo la storia seria di questo Paese e sciocchezze che valgono perfino meno delle ragioni di quei ragazzi che in preda a un mondo che dà loro un futuro incerto si mettono a sporcare monumenti convinti di essere degli eroi. Non rendendosi conto che invece se fossero degli eroi andrebbero a battersi davvero per un pianeta più pulito rischiando la loro pelle e non qualche ammenda da poche decine di euro comminata dal vigile di turno che passa di lì. Non serve nemmeno immaginare di fare un inno alla violenza seria contro i soprusi dello Stato come sono state le rivoluzioni, visto che viviamo in un Paese dove se ammazzi un rapinatore che ha puntato un’arma sulla testa di tuo figlio ti becchi 17 anni di reclusione e 400 mila euro da pagare. Quindi, diciamo che almeno chi ci rappresenta se viene invitato a scrocco nel più grande teatro del mondo a sentire Giuseppe Verdi ci faccia la cortesia di tacere, ascoltare e poi andarsene a casa rispettando con il silenzio quella Costituzione che crede di difendere blaterando sui social e in televisione le frasi che gli scappano quella sera per finire sul giornale e contare un po’ di più del suo vicino di poltrona. È un’Italia arrabbiata quella che vediamo. Arrabbiata perché non riesce a fare quello che tutti sanno sarebbe nelle sue potenzialità. Non riesce a darsi un futuro e quindi si rifugia nel passato e ritira fuori a ogni occasione uno scontro culturale che durante gli anni migliori della Repubblica era stato superato dalla forza di avanzamento comune della democrazia e da uno spirito di Patria che non aveva bisogno di atterrare sul simbolo di nessun partito, anzi che aveva una naturale opposizione a chiunque tentasse di usare il Paese per propri piccoli scopi particolari. Serve una classe politica capace di tornare a parlare all’Italia di domani. Perché immaginare anche solo lontanamente che una donna come Liliana Segre possa essere portata dalle circostanze o peggio ancora dall’alleanza culturale e politica con una parte del Parlamento che esprime sfortunatamente anche il sindaco di Milano Beppe Sala, che meglio farebbe a mettere a posto la sua città e ripulirla dai criminali, a cadere in una polemica sulla poltrona da occupare alla Scala di Milano metterebbe fine all’ultimo simbolo di unità che il Paese ha riconosciuto e che merita solo l’applauso di tutti gli italiani. Siccome sono certo, perché credo nell’Italia, che non possa essere così preferisco dimenticare quanto ho visto e sperare che Giuseppe Verdi ancora una volta abbia rappresentato meglio di chi siede in Parlamento quell’unità nazionale che il Capo dello Stato non si stanca di ricordare e che sta scritta, quella sì, a chiare lettere nella nostra Costituzione repubblicana. So che mi illudo perché sono certo che questa polemica è una delle tante a cui ci abitueremo in questi mesi di campagna elettorale, però spero davvero che almeno le figure che si stagliano un po’ più alte per ragioni istituzionali e di vita propria in questa Repubblica un po’ ammaccata contribuiscano con il loro comportamento, come alla fine è avvenuto, a superare questo drammatico piagnisteo italiano e questa rissa che sembra più una resa culturale che non un invito a schierarsi e a lottare. Noi non abbiamo bisogno di coraggio on-line, abbiamo bisogno di persone coraggiose capaci con la loro testimonianza di dirci che questi ottant’anni non sono serviti a nulla come invece vuole farci credere quella parte della nostra classe politica che non riconosce nemmeno nell’avversario eletto dal popolo la derivata democratica della democrazia italiana che non ha scritto da nessuna parte che deve governare quello che piace a te ma ha scritto a chiare lettere che deve governare chi vince le elezioni e che l’unico che può giudicare sul piano della legittimità è il popolo. Non c’è quindi alcuna differenza fra quella polemica sterile che abbiamo sentito lordare la prima della Scala e quei ragazzi che, convinti di dire qualcosa di giusto, anziché bersi qualche litro di Nesquik e trovare il coraggio e la forza in quelle calorie per combattere davvero chi inquina al mondo e chi fa i miliardi sulla sua pelle, se la prendono coi simboli più alti dell’Umanesimo italiano, grandi opere che innocue testimoniano che c’è stato qualcuno di più grande di loro e che fortunatamente ci sarà anche domani.  


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