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Attualità

La politica che tradisce i suoi stessi popoli

di Priscilla Rucco -


“Hamas, con mio grande rammarico, è una creazione di Israele”. Queste parole non provengono da un teorico della cospirazione o da un propagandista nemico. Le ha pronunciate Avner Cohen, ex funzionario israeliano per gli affari religiosi che ha lavorato a Gaza per oltre vent’anni, al Wall Street Journal nel 2009. Un insider. Uno che c’era. Uno che ha visto nascere il mostro. Perché ci sono verità che i governi preferiscono seppellire. Verità così scomode da minare le narrative ufficiali della storia, da far tremare le radici su cui si costruiscono decenni di politica estera. E poi ci sono le confessioni: brucianti ammissioni che sfuggono dalla bocca di chi ha visto troppo, di chi non riesce più a portare il peso del silenzio e della complicità.

La genesi di un nemico

La storia comincia negli anni ’80, quando Israele si trovava di fronte a un dilemma strategico. L’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (Olp) di Yasser Arafat e Fatah rappresentavano un movimento laico, nazionalista, sempre più riconosciuto sulla scena internazionale. Un movimento che chiedeva uno Stato, che otteneva sempre più consensi e che sembrava poter davvero raggiungere i suoi obiettivi diplomatici.

Quale poteva essere la soluzione?

Divide et impera – dividere per regnare – . Una tattica antica quanto l’impero romano, ma sempre efficace. Il generale di brigata Yitzhak Segev, governatore militare israeliano di Gaza nei primi anni ’80, lo ha ammesso al New York Times: riceveva un budget dal governo israeliano per finanziare la “Fratellanza Musulmana”, precursore di Hamas. L’obiettivo era creare un contrappeso agli islamisti contro i nazionalisti laici dell’Olp. Cohen stesso scrisse un rapporto ufficiale ai suoi superiori a metà degli anni ’80, lanciando un allarme che oggi suona a tratti profetico: “Suggerisco di concentrare i nostri sforzi nel trovare modi per distruggere questo mostro prima che questa realtà ci esploda in faccia”. Non lo ascoltarono. Il mostro, come sappiamo, crebbe. Nel 1987 nacque Hamas.

La politica al servizio degli interessi, ma non dei popoli

Qui emerge una verità distruttrice: i leader politici non sempre agiscono nell’interesse dei loro cittadini. Si muovono per proteggere paradigmi ideologici, per i sottili equilibri di potere che li favoriscono, per evitare soluzioni che potrebbero costringerli a compromessi ritenuti inaccettabili. Mantenere Hamas al potere è servito a uno scopo ben preciso: impedire l’unità palestinese. Un popolo diviso tra l’estremismo islamico di Hamas a Gaza e l’Autorità Palestinese in Cisgiordania non può presentarsi al tavolo delle trattative con una voce unica.

Non può negoziare efficacemente uno Stato

Diviene un perfetto alibi per poter affermare: “Non abbiamo un partner per la pace”. David Hacham, ex esperto di affari arabi nell’esercito israeliano di base a Gaza negli anni ’80, ha riflettuto amaramente: “Quando guardo indietro alla catena di eventi, penso che abbiamo commesso un errore. Ma all’epoca, nessuno pensava ai possibili risultati”. Nessuno pensava? O forse qualcuno rifletteva fin troppo bene, ma nella direzione sbagliata. Perché quando Cohen lanciò il suo allarme, quando suggerì di “rompere questo mostro”, i suoi superiori fecero una scelta deliberata: continuare a percorrere la stessa strada. Non per leggerezza, ma per un calcolo politico ben preciso.

La macchina della disinformazione

Quello che rende questa storia ancora più inquietante è come queste verità vengano sistematicamente oscurate dal dibattito pubblico, dai media stessi. Quando oggi parliamo di Hamas, raramente menzioniamo che Israele ha contribuito a crearlo. Quando ascoltiamo i leader israeliani giurare la distruzione di Hamas, difficilmente ricordiamo che per molti decenni quegli stessi leader hanno permesso – anzi, facilitato – il flusso di milioni di dollari verso l’organizzazione stessa. La storia ci ha insegnato che Israele si è battuta contro i terroristi, democrazia contro fondamentalismo, civiltà contro barbarie. Ma la realtà è un insieme di manovre ciniche, di alleanze tattiche con i propri nemici, di sacrifici calcolati della sicurezza dei propri cittadini barattata con la convenienza politica.

Il Wall Street Journal, citando Cohen, ha tracciato un’altra storia:

L’esperienza di Israele riecheggia quella degli Stati Uniti, che durante la Guerra Fredda guardavano agli islamisti come un alleato utile contro il comunismo. Le forze anti-sovietiche sostenute dall’America dopo l’invasione dell’Afghanistan del 1979 da parte di Mosca si sono poi trasformate in Al Qaeda”. Blowback. È il termine tecnico corretto. Le conseguenze inattese di operazioni segrete. Il “mostro” che si rivolta contro il suo creatore. Cohen aveva lanciato l’allarme. Altri avevano espresso dubbi. Ma la macchina era già in moto, e fermarla avrebbe significato riconoscere l’errore, cambiare strategia, forse persino considerare una vera pace.

Il prezzo pagato dai popoli

Chi paga il prezzo di queste strategie? Non i politici che le architettano dalle loro confortevoli stanze del potere. Pagano i civili israeliani uccisi dai razzi di Hamas. Pagano i bambini palestinesi che crescono sotto il blocco di Gaza, senza futuro, senza speranza. Pagano le famiglie distrutte da entrambe le parti, i sogni infranti, le vite spezzate. Quando Hamas ha lanciato l’attacco del 7 ottobre 2023, il più mortale nella storia di Israele, la reazione internazionale è stata di shock e condanna. Giustamente. Ma pochi si sono domandati: come siamo arrivati qui? La risposta è scomoda perché implica responsabilità condivise, perché sfuma le storie tra vittime e carnefici, perché ci obbliga a riconoscere che i mostri che combattiamo sono spesso quelli che abbiamo contribuito a creare.

La lezione ignorata

Oggi, mentre Gaza viene ridotta in macerie e il bilancio delle vittime sale, mentre famiglie israeliane piangono i loro morti e famiglie palestinesi scavano tra le rovine, quella vecchia ammissione di Cohen risuona con un’eco agghiacciante. Con mio grande rammarico, è una creazione di Israele”. Il rammarico. Quella parola chiave. Perché riconoscere l’errore a posteriori è facile. Difficile è avere il coraggio di cambiare rotta mentre si è ancora in tempo. Difficile è anteporre la sicurezza e il benessere dei propri cittadini – di tutti i cittadini della regione – agli obiettivi politici di breve termine. La storia di come Israele ha contribuito a creare Hamas non è una curiosità storica. È un caso di studio su come gli interessi politici possano prevaricare sul bene dei popoli, su come la disinformazione possa oscurare verità scomode, su come i leader possano sacrificare la sicurezza dei loro stessi cittadini per mantenere paradigmi ideologici.


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