Politica

La poltrona è servita

di Giovanni Vasso -

PAOLO SCARONI ENI GIANNI LETTA


È sorta l’alba, su Palazzo Chigi. Dopo la lunga, lunghissima, notte delle nomine. C’è chi incassa, politicamente, più di quanto sperato almeno fino a poche ore prima che si chiudesse la partita. C’è chi, sempre politicamente, ha ottenuto molto meno di quanto ritenesse di meritare. La coperta, in politica, è sempre corta. Le scelte di Giorgia Meloni hanno sortito degli effetti che continuano ad animare il dibattito politico del giorno dopo. Qualche malumore, Meloni, lo deve affrontare nel suo stesso partito. Roberto Cingolani, nuovo ad di Leonardo, non ha rappresentato certo la prima scelta di Fratelli d’Italia. Almeno, di quella parte di Fdi che si riconosce nel ministro alla difesa Guido Crosetto. Che, come s’è capito, avrebbe preferito Lorenzo Mariani in plancia di comando. La soluzione che è stata trovata sa di compromesso. Mariani s’è convinto ad accettare la poltrona di direttore generale di Leonardo, affiancherà – in quota “tecnica”, sicuramente di esperto del settore difesa e aerospazio – l’accademico Cingolani. A cui qualcuno “rinfaccia” ancora di essere stato ministro alla Transizione ecologica per volontà del M5s e, in particolare, di Beppe Grillo. Per molto meno, cioè per una presunta vicinanza ai pentastellati, sicuramente non direttamente politica, la Lega ha chiesto (e ottenuto) la testa di Stefano Donnarumma. Entrato papa in conclave, da ad in pectore di Enel, s’è ritrovato superato a destra e sinistra dal duo Paolo Scaroni-Flavio Cattaneo. Per lui, dopo che per Terna s’è deciso di affidarsi all’ad Giuseppina Di Foggia e al presidente Igor De Biase (in quota leghista), si parla di Cdp Venture Capital. A proposito di Terna e di Di Foggia, con la nomina a Ceo del manager proveniente dal colosso della telefonia Nokia, Giorgia Meloni onora la promessa di sfondare il soffitto di cristallo e di nominare una donna alla guida di una delle grandi partecipate di Stato. Sarebbe stato grave non onorare la promessa, peraltro pronunciata in occasione delle celebrazioni dell’8 marzo. Tutto come previsto a Eni, con la conferma di Descalzi che, durante le fasi più concitate delle trattative politiche sulle poltrone ha tenuto a sottolineare di non essere in alcun modo “king-maker” delle decisioni del governo sulle partecipate. Del ruolo del Ceo del Cane a Sei Zampe, negli ultimi mesi, s’è parlato moltissimo in virtù dell’attivismo esercitato dallo stesso Descalzi sul fronte mediterraneo e africano per procurare all’Italia nuove fornitori di materie prime energetiche. Che gli è valso un ruolo sostanzialmente più che centrale nel progetto del piano intitolato (non a caso) a Enrico Mattei, fondatore della stessa Eni.
Ma il vero top player della partita delle nomine risponde al nome di Gianni Letta. Ha risolto lo stallo sciogliendo i nodi politici. Inossidabile mediatore, è riuscito in un capolavoro e lo ha fatto nel momento più duro di Forza Italia, mentre il suo leader Silvio Berlusconi si trova ricoverato in terapia intensiva. Ha ammorbidito la ferrea volontà di Giorgia Meloni di voler fare pokerissimo, ha convinto la Lega a fare squadra e ha piazzato l’uno-due decisivo su Enel, scompaginando tutti i pronostici della vigilia. E, cosa migliore, lo ha fatto senza alzare mai la voce, senza creare polemiche né tensioni, rappresentando un partito dato sull’orlo del collasso, rilanciandolo pienamente da protagonista nelle dinamiche del centrodestra. Insomma, per dirla con una metafora calcistica, Gianni Letta, il vecchio leone, entra dalla panchina per sostituire la rampante Licia Ronzulli, ormai sempre più ai margini della squadra azzurra della dirigenza di Forza Italia, e porta a casa la partita.


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