Editoriale

LA POST DEMOCRAZIA

di Tommaso Cerno -

Tommaso Cerno


Siamo soli. Arrabbiati. Divisi. Questa è l’Europa che abbiamo davanti, a meno che non vogliamo pensare davvero che sia colpa del Governo italiano quello che è successo nel Mediterraneo negli ultimi vent’anni. I morti di Cutro gridano vendetta ma non a noi, all’Europa così come l’abbiamo vista destreggiarsi fra le bugie, le richieste economiche, i ricatti, senza risolvere mai un problema del continente da anni. La politica estera non esiste più. E’ la fotocopia di qualche dittatore americano e non lo dimostra tanto l’Ucraina, dove stiamo perdendo la guerra e uccidendo migliaia di persone nel nome di una democrazia ripristinata a colpi di armi, ma il resto dell’Africa del Nord in totale abbandono, origine prima di ogni male che deriva dalle sue debolezze, dalle nostre incapacità, dalle balle che ormai risuonano quotidianamente da Bruxelles. In realtà Cutro è solo il punto di arrivo di un problema che parte da molto lontano, dalla nostra incapacità di incidere, che percorre una rotta molto lunga e pericolosa, che sembra quasi la metafora di tutti i problemi lasciati irrisolti in questi ultimi vent’anni. Potrà fra mare grosso e paura arrivare a quella virata estrema, sinonimo della precarietà totale del mondo di oggi, di fronte a un continente che da millenni dice di essere il mondo migliore e non è in grado di avvistare una barca. Stiamo messi così, come un barcone alla deriva, ci chiamiamo Europa, e siamo destinati a naufragare se qualcosa davvero non succederà. Ma non è il governo italiano quello che la deve far succedere, siamo noi tutti a dover chiedere un cambiamento. Noi cerchiamo nel nostro passato le soluzioni, ma non arriveranno perché il passato remoto ci ha abituati a dover dire sempre di sì, cosa che oggi è evidente a tutti. Continuiamo a farlo solo per orgoglio, senza averne le possibilità. In quel passato ci sono leggi sbagliate e anche momenti che potevano essere una svolta ma che non hanno avuto compimento. Come quel barcone anche l’Europa deve trovare una rotta definitia perché le manovre continue e spericolate a cui ci sottopone mettono a rischio la nostra sopravvivenza. Che cosa possiamo fare? Per prima cosa dirci la verità. Nell’ultima grande emergenza, quella del Covid, non siamo stati così preparati come diciamo. E quando ce ne siamo resi conto abbiamo mentito. Almeno un po’. Lo Stato ai cittadini, lo vedremo dalle indagini. I cittadini a loro stessi, per abitudine ad avere ragione. Adesso affrontiamo una guerra e i presupposti non sono così diversi. Che la Russia sia un nemico l’abbiamo capito ma un nemico invincibile non esiste, per cui significa che vincere non è l’obiettivo che ci siamo prefissi. L’Ucraina paga questa assenza di verità, in modo splendido, eroico ma anche un po’ fesso. Perché fidarsi di noi oggi necessita di grande coraggio e il loro coraggio si esaurisce sul campo di battaglia. Spetta quindi a noi cambiare rotta, credere che le parole nel nome delle quali agiamo da ormai molti anni senza ottenere nulla in cambio, restano autentiche al di là delle persone che le rappresentano. Parole come libertà e democrazia che con molta fatica vedo fare rima con Ursula von der Leyen e con Stoltenberg. Il Papa parla al vento. E questo è il segno che non cerchiamo nemmeno una scusa per far finire questa guerra. Abbiamo almeno il coraggio di dirlo e di combatterla, se la riteniamo così necessaria, altrimenti le belle parole al vento pronunciate dopo il naufragio di Cutro resteranno l’ennesima bugia democratica di un continente lasciato a se stesso.

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