Cultura & Spettacolo

La prima vera guerra Mondiale

di Redazione -


di GINO ZACCARI
Nel terzo secolo a.C. due super potenze si contendevano il controllo del bacino del Mediterraneo, le sue rotte commerciali, le sue basi strategiche. Cartagine era stata vista per secoli con una sorta di timore reverenziale da parte dei Romani, che erano stati disposti anche ad accettare trattati con clausole a loro sfavorevoli pur di mettersi al riparo dalle ire della grande potenza navale. Ora però l’Urbe era in piena ascesa, le difficoltà delle guerre con i popoli dell’Italia l’avevano resa matura e il primo scontro con Cartagine lo aveva vinto, anche se il conflitto non aveva messo una parola definitiva alla contesa.

Per i punici era giunto il momento di giocarsi il tutto per tutto e fermare Roma per sempre. Uno scontro tra titani raccontato in maniera magistrale, con analisi dei personaggi: Il genio di Annibale, la perseveranza di Quinto Fabio Massimo, l’intraprendenza e il coraggio di Scipione; ma anche con spiegazioni chiare dei meccanismi sociali e psicologici che guidarono le decisioni delle élite delle due potenze, oltre a come i rispettivi popoli affrontarono le sfide e le difficoltà di quella che di fatto, fu la prima e unica guerra totale della storia antica, dove ogni risorsa, materiale, economica e morale fu messa in gioco in una lotta all’ultimo sangue per la sopravvivenza. Dove ad una delle più grandi sconfitte militari di sempre, Canne, subita da Roma, non seguì né una resa, né una richiesta di pace. Mario Silvestri ci fa immergere in quei giorni drammatici, in cui i romani decisero di andare incontro a quella che sembrava la loro rovina totale, la quasi certezza di essere cancellati dalla storia. Ma soprattutto, coglie l’aspetto più importante di quell’aggregato che era la società romana dell’epoca, e che si manifestò proprio nel momento più buio: “le altre potenze – scrive Silvestri – avrebbero inviato ambasciatori, avanzato proposte per il rilascio di prigionieri, chiesto quali fossero le condizioni di pace e accettato un ridimensionamento. Non però Roma. Nell’Urbe si limitò il lutto, si nominò un dittatore e si mobilitarono le ultime forze: anche anziani e poveri proletari, (non ammessi al dovere/privilegio di servire nell’esercito, ndr). I romani dimostrarono cieca risolutezza nel voler proseguire la guerra, ad ogni costo e nel peggiore dei casi fino all’ultima goccia di sangue. Infine strapparono la vittoria decisiva dimostrando ancora una volta che potevano sì perdere le battaglie ma non le guerre”.
Dopo una tale prova, ci racconta l’autore, la potenza romana fu lanciata in maniera inarrestabile verso un destino di primato nel Mediterraneo, verso la conquista del mondo allora conosciuto, prima ancora che con le armi, con un modello sociale e politico che aveva dimostrato una solidità granitica, e che per i secoli avvenire, sarebbe stato in grado di tenere insieme popoli e culture diverse in un sistema efficiente, universalmente accettato e condiviso.


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