Attualità

La questione meridionale fra mafia e “mafiosità”

di Michele Gelardi -


Si deve reprimere la mafia o la mafiosità? Tutto il mondo si accontenta della prima opzione; solo l’Italia si dedica alla seconda. Nel bel Paese abbiamo la fortuna di governi che si prefiggono il fine ultimo di raddrizzare il legno torto dell’umanità, mediante la sanzione penale, e vi si dedicano con grande passione e dispendio di energie. Forse la ragione di questa singolare “utopia al potere” risiede nella predilezione per la diatriba infinita e nel disprezzo delle cose “banali”. È possibile immaginare la dinamica politica italiana come un’immensa assemblea condominiale, riunita in seduta permanente, nella quale i condomini faticano a mettersi d’accordo e tuttavia sono ben concordi nel querelarsi vicendevolmente. La rissosità condominiale è il preliminare della controversia giudiziaria e allora l’immagine che coglie meglio la singolarità del caso italiano è quella di un immenso tribunale a cielo aperto, dove il giudizio non verte solo sui fatti, ma anche sulle inclinazioni, sui sentimenti, le passioni e gli intendimenti umani, giacché accontentarsi dei fatti sarebbe appunto troppo semplice e banale. L’anima italiana aspira al sublime e all’assoluto e ricerca la verità oltre le cose. Sono italiani i più grandi capolavori letterari e cinematografici, che hanno saputo cogliere la radice ideale e culturale della mafia. L’errore comincia quando dal set cinematografico e dalla biblioteca si passa all’aula giudiziaria. Qui, nella restante parte del mondo, valgono solo i fatti, nella nostra assemblea condominiale valgono anche i “retrofatti”. Sicché non si reprime solo la mafia, ma anche la propaggine e il retroterra; non solo l’associazione criminale, ma anche il contesto; non solo la partecipazione interna, ma anche il concorso esterno; non solo il reato del mafioso, ma anche la mera contiguità. Il capolavoro cinematografico diventa capolavoro giudiziario; il presidente del consiglio viene tenuto alla sbarra per un “bacio” supposto e un sacerdote va in carcere per aver osato amministrare il sacramento della confessione a un latitante. Nessuno tuttavia si chiede se, per ipotesi, la repressione della mafiosità non metta in crisi la certezza del diritto, deprima l’iniziativa economica e scoraggi gli investimenti, con grave pregiudizio della dinamica sociale.
Ma l’assemblea condominiale, dominata e intimidita da coloro che gridano più forte, vuole ancora di più: non basta la repressione, occorre la prevenzione. E non basta prevenire la mafia, è necessario prevenire pure la mafiosità. Il sistema italiano delle misure di prevenzione ha dell’incredibile. Questo unicum mondiale si basa su una “frode delle etichette”: sono chiamate amministrative e preventive misure pesantemente afflittive, di carattere sanzionatorio, le quali dovrebbero chiamarsi “pene”, essendo gravemente restrittive della libertà personale e/o definitivamente ablative. Se n’è accorta anche la Corte Europea per i Diritti dell’Uomo, la quale ha cominciato a non credere più nei nostri “nomi” di fantasia. Un tempo le misure nominalmente preventive e sostanzialmente repressive colpivano solo il sospettato di appartenere alla mafia; oggi si è fatto un passo avanti; in omaggio alle direttive dell’assemblea condominiale, colpiscono anche colui che ha avuto rapporti col sospettato. Insomma, la nostra “utopia al potere” volendo estirpare la radice del male e prevenire non solo la mafia, ma perfino la mafiosità, dispone le confische dei patrimoni di coloro che non hanno commesso alcun reato; e non solo il patrimonio del sospettato n. 1, assolto da qualsiasi accusa e tuttavia – chissà perché – ancora sospettato; ma anche quello dei suoi “contigui”, divenuti sospettati per transitività. È prevista anche la pericolosità post mortem, che si trasmette agli eredi, colpevoli di nulla. Si capisce che, di sospetto in sospetto, forse si perviene all’anticamera della verità, come pretendono gli urlatori del tribunale assembleare, ma di certo si paralizzano la libera dinamica sociale e lo sviluppo economico, cosicché la questione meridionale diviene eterna, in maniera non molto dissimile da quella tibetana in Cina.


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