Esteri

La rivolta dell’Iran sfida il regime islamico La sorella di Khamenei “Insurrezione giusta”

di Martina Melli -

MANIFESTAZIONE A SOSTEGNO DELL'IRAN PROTESTA CONTRO LA DITTATURA


Il terzo giorno di sciopero economico in Iran ha coinciso con un grande boicottaggio studentesco. Il popolo iraniano è sempre più stufo e sfibrato dalla dittatura, eppure, ancora e sempre, determinato nella rivolta. Da ormai quasi tre mesi si susseguono in tutto il Paese manifestazioni, proteste e azioni di resistenza capillare da fare invidia a tutta Europa. All’agenda di mobilitazioni, da lunedì, si è unito lo sciopero di centinaia di negozi e attività commerciali, che così facendo, hanno scatenato la durissima risposta della magistratura. Ogni singola attività che è rimasta chiusa, infatti, è stata sigillata dalle autorità. Non solo. Molti manifestanti sono stati arrestati, e il sindaco di Teheran, Alireza Zakani, ha accusato gli studenti dell’Università Sharif di essere dei “traditori”. Diversi gruppi giovanili avevano lanciato la chiamata a scendere in strada e trasformare l’annuale Student’s day di ieri, in una “giornata di terrore per lo Stato”. In un video pubblicato dal social media monitor 1500tasvir, si sentono i ragazzi dell’università di tecnologia di Amirkabir urlare: “Tremate, tremate, siamo tutti insieme”. Le ritorsioni arrivate subito dopo non sono state affatto tenere. Oltre agli arresti, anche maltrattamenti, violenze e sparizioni. Quello che ha generato maggiore scalpore sia all’interno del Paese che all’estero, tuttavia, è stata la dichiarazione di Badri Hossein Khamenei, sorella della guida suprema della Repubblica islamica Ali Khamenei, che ha pubblicato una lettera in cui si augura “presto la vittoria del popolo e il rovesciamento di questa tirannia al potere”. Nella lettera in questione, pubblicata sull’account twitter di suo figlio e rilanciata da alcuni media, Badri Khamenei critica il fratello affermando che “il regime della Repubblica islamica non ha portato altro che sofferenza e oppressione per l’Iran e gli iraniani. Il popolo dell’Iran merita libertà e prosperità e la loro insurrezione è legittima e necessaria per ottenere i loro diritti”. Una presa di posizione molto significativa, forse influenzata dall’arresto della figlia Farideh che al momento si trova nel carcere di Evin per aver sostenuto le proteste. Anche il padre della ragazza, il predicatore Ali Moradkhani Tehrani, ha espresso aspre critiche contro la Repubblica islamica finendo, per questo, agli arresti domiciliari e morendo poco tempo dopo.
In questo quadro di forte instabilità politica, il regime attribuisce gran parte delle “rivolte” alle istigazioni da parte degli Stati Uniti e dei loro alleati – tra cui Gran Bretagna e Israele – mentre il Presidente ultra conservatore Ebrahim Raisi si mostra calmo e tenta di influenzare le coscienze. Durante un discorso al campus dell’università di Teheran, ha elogiato gli studenti per la loro accoglienza, nonostante le manifestazioni innescate dalla morte della giovanissima Mahsa Amini. “Ringrazio i cari e perspicaci studenti che non hanno permesso che l’atmosfera dell’università diventasse un’atmosfera di rivolte”, ha detto nella giornata che segna l’uccisione di tre studenti nel 1953, da parte delle forze di sicurezza dello scià. “Coloro che stanno brutalmente e ingiustamente uccidendo i nostri cari sono rivoltosi. La nostra gente e la comunità studentesca capiscono la differenza tra proteste e rivolte” ha concluso. Il suo discorso è arrivato poco dopo che Mohammad Khatami, ex presidente dal 1997 al 2005, (messo a tacere dall’establishment per anni) ha espresso sostegno al movimento di protesta. Il 79enne ha descritto lo slogan “Donna, vita, libertà” come “un bellissimo messaggio che mostra l’avanzamento verso un futuro migliore”. Tra scioperi, dichiarazioni e movimenti studenteschi, martedì mattina la magistratura ha condannato a morte nove persone per l’assassinio di uno dei migliori scienziati nucleari del Paese, Mohsen Fakhrizadeh, ucciso nel novembre 2020. La sua auto fu vittima di un’imboscata su un’autostrada fuori Teheran, in un attacco attribuito ad Israele. L’Iran nel 2022 ha giustiziato più di 500 persone, quasi 200 in più rispetto all’anno prima secondo un’organizzazione per i diritti umani. Questo aumento della pratica della pena capitale a seguito di “processi iniqui” sembrerebbe un’ ulteriore arma di repressione contro i dissidenti.


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