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La saga di Lady Gucci nella rete dei “vampiri”

di Rita Cavallaro -


Lady Gucci, la saga infinita. Non c’è pace per Patrizia Reggiani, la vedova nera condannata a 26 anni di carcere quale mandante dell’omicidio dell’ex marito, Maurizio Gucci. Stavolta Patrizia non indossa i panni della carnefice vestita di sangue e lustrini, ma quelli della vittima circuita dagli amici, nell’ultimo atto di una storia maledetta che si consuma alla Procura di Milano, la stessa che la inchiodò per il delitto di via Palestro del 28 maggio 1995. I magistrati meneghini hanno chiuso le indagini per circonvenzione di incapace, peculato, furto, corruzione e induzione indebita nella gestione del patrimonio milionario lasciato in eredità alla Reggiani dalla madre Silvana Barbieri. Sono otto gli indagati, che ora rischiano il processo per aver cannibalizzato i beni di Lady Gucci, la quale, secondo una perizia, è affetta da una fragilità psichica conseguente all’intervento per l’asportazione di un cancro al cervello che Patrizia aveva subìto nel 1992, tre anni prima che la maledizione si abbattesse sui coniugi della famosa maison di moda, che venivano definiti la coppia più bella del mondo.

 

LUSTRINI D’AMORE

 

Una storia d’amore, quella tra i due, iniziata a una festa nel 1971. Patrizia aveva 22 anni ed era nota nella Milano bene come “la Lyz Taylor tascabile” e !la Joan Collins di via Monte Napoleone”. D’altronde suo padre l’aveva viziata fin da piccola, con gioielli e pellicce da sfoggiare nell’esclusivo liceo del Collegio delle Fanciulle, e sua madre l’aveva preparata ad affrontare i migliori salotti per fare colpo su un buon partito. Patrizia seppe portare a termine l’obiettivo, in quell’incontro da favola con Maurizio: con un abito rosso fuoco e i suoi splendidi occhi quasi viola, la ragazza fece immediatamente colpo sul rampollo della maison Gucci. Nonostante lo reputasse un imbranato, la Reggiani si fece corteggiare e, alla fine, venne conquistata dal lusso sfrenato di quel mondo. Due anni dopo le nozze, contrastate dal padre dello sposo, Rodolfo Gucci, convinto che la giovane fosse un’arrampicatrice sociale interessata solo ai soldi. Ma Maurizio era completamente stregato da Patrizia, che diventò in poco tempo la regina del fashion. Tra limousine, feste nello chalet a Saint Moritz con ospiti illustri come gli Onassis e vacanze su un veliero anni Venti di 68 metri, Lady Gucci si presentava così tanto ingioiellata che venne ribattezzata “Tutankhamon”. La sua favola finì una sera del 1985, quando Maurizio, sempre più soffocato dall’invadenza della moglie anche negli affari della maison, non tornò a casa. Si era permesso di lasciarla senza nemmeno dirglielo. E nonostante di quell’impero economico dei Gucci, valutato 5mila miliardi di lire, con il divorzio Maurizio lasciò alla ex un “misero” miliardo l’anno più mezzo miliardo per le due figlie Alessandra e Allegra, Patrizia non si era messa l’anima in pace, perché la fine del rapporto la escludeva dalla sfarzosa vita sociale e dallo star system che aveva alimentato il protagonismo della donna. Appena Maurizio la sostituì con la nuova fiamma Paola Franchi, Patrizia perse la testa. Lady Gucci iniziò a frequentare una maga napoletana, Pina Auriemma, e andava dicendo a chiunque che avrebbe volentieri assoldato un killer per uccidere il marito. Così quando alle 8.40 del 28 maggio 1995 Maurizio fu freddato con tre colpi di pistola nell’androne del palazzo dell’ufficio, davanti agli occhi del portiere dello stabile Giuseppe Onorato che si trovò faccia a faccia con l’assassino, più di qualcuno sospettò che fosse opera dell’ex moglie. La svolta il 31 gennaio 1997. Un informatore della polizia, Gabriele Carpanese, raccontò agli inquirenti che un uomo si era vantato di essere coinvolto nell’omicidio Gucci. Si trattava di Ivano Savioni, amico della maga Pina. E i due furono arrestati, insieme con l’esecutore materiale del delitto, Benedetto Ceraulo, all’autista dell’auto su cui era fuggito il killer, Orazio Cicala, e a Patrizia, accusata di essere la mandante. Il movente fu fissato nell’odio verso il marito e nella paura di perdere il patrimonio. Patrizia aveva promesso 600 milioni per uccidere Maurizio e, appena venne resa nota la notizia della morte del rampollo dei Gucci, la maga aveva chiamato la Reggiani, dicendole: “L’abbiamo fatto, adesso devi pagarmi 600 milioni, altrimenti uccidiamo anche le tue figlie”. Per il delitto, Patrizia scontò in cella 17 dei 26 anni di pena, il resto in semilibertà, e oggi ha chiuso i conti con la giustizia.

 

L’AMICA

In prigione, però, Lady Gucci si legò molto alla compagna di cella Loredana Canò. Si fidò così tanto da assumerla come sua assistente personale e portarla a vivere in casa con lei, nel 2018. Nell’aprile 2019 la mamma Silvana Barbieri morì a 92 anni, lasciando alla figlia soldi, una villa di tre piani a Milano e un capannone di 10mila metri quadri in via Mecenate, gravato da un’ipoteca. Prima di morire, l’anziana aveva chiesto al Tribunale di sottoporre ad amministrazione di sostegno Patrizia, perché, conoscendo lo stile dissoluto della Reggiani, temeva che avrebbe potuto dissipare l’eredità in poco tempo. I giudici avevano accolto la richiesta e la consulenza tecnica redatta dagli psichiatri aveva definito Lady Gucci “plagiabile”, altamente “influenzabile” e incapace di gestire il ricco patrimonio. Come amministratore di sostegno venne nominato l’avvocato Daniele Pizzi. Per gestire il resto del patrimonio, la Barbieri aveva incaricato il suo legale Maurizio Giani di costituire una Fondazione, di cui lo stesso si è nominato presidente a vita, alla quale l’anziana avrebbe destinato un complesso immobiliare da almeno 14 milioni di euro dietro la Stazione Centrale, composto da 130 tra appartamenti, negozi e box affittati, oltre a 4 milioni in contanti, di cui versati solo 100mila. Lo stesso Giani si confrontava con Pizzi per le esigenze di Patrizia e la Canò, che si occupava di tutte le incombenze domestiche, secondo gli inquirenti avrebbe derubato nel tempo Lady Gucci in accordo con gli altri indagati. La compagna di cella non avrebbe messo soltanto le mani sul patrimonio della Reggiani, ma l’avrebbe così tanto plagiata da arrivare a controllare anche la vita della donna, rispondendo al telefono al posto suo, fino a “impedire alle figlie Alessandra e Allegra Gucci e alle amiche” di farle visita. La Canò avrebbe azzerato i rapporti della Reggiani e li avrebbe inquinati, spingendo la mamma a fare “la guerra” alle figlie per il vitalizio di un milione di franchi l’anno e 35 milioni di arretrati che dovevano alla madre. Poi avrebbe rubato i gioielli di Patrizia, convincendola che la colpa fosse del personale di servizio, le avrebbe bloccato numeri di telefono affinché non ricevesse chiamate, scritto mail “per conto suo”, nascosto “in casa numerosi registratori” e preparato “copioni che la donna leggeva durante gli incontri”, anche alle figlie, si legge negli atti del fascicolo del procuratore aggiunto Tiziana Siciliano e del sostituto Michela Bordieri. Tra gli otto che rischiano il processo, oltre alla compagna di cella, ci sono gli avvocati Giani e Pizzi, il consulente finanziario della Barbieri, Marco Chiesa, i presunti prestanome Marco Riva e Maria Angela Stimoli e poi Mario Wiel Marin e Marco Moroni, titolari di una società che ha svolto una perizia “sul valore economico di 5 società immobiliari”, di cui era amministratrice la mamma di Patrizia. Insomma, per gli inquirenti una “cricca” di “vampiri” che si sarebbero finti amici per rubare tutto quello che potevano. Senza che Patrizia si accorgesse di nulla. Proprio lei che ripeteva “meglio piangere in Rolls Royce che sorridere in bicicletta”, era rimasta quasi a piedi.

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