Editoriale

La Scala delle vanità

di Tommaso Cerno -


Come in una scala delle vanità, seppellita Giulia Cecchettin e condannato a 17 anni il gioielliere
Roggero, la politica si è trovata senza una bella polemica per arroventare il clima italiano. E cosa c’è di meglio del teatro più famoso del mondo e del suo palcoscenico per infischiarsene della musica e fare il solito teatrino fra i fascisti del governo e i santuomini della sinistra.

È bastato che il premier Meloni e il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella dessero forfait
alla Scala perché anche il più grande Teatro italiano diventasse il ring per uno scontro politico d’altri tempi fra vecchie carampane del Parlamento e dello scacchiere del potere per andare sui giornali e farsi pubblicità sulle spalle degli italiani.

Evidentemente la politica non aveva nulla di cui parlare. Seppellita Giulia, condannato il gioielliere, c’era bisogno di una nuova polemica pret a porter. L’ultima che si sono inventati quelli del sindacato alla Landini, insieme all’Anpi, è che non staranno sullo stesso palco con La Russa, non perché stanno in fabbrica con gli operai con cui non parlano veramente da almeno dieci anni ma perché il presidente del Senato, che sta in Parlamento dai tempi di Marco Caco, che ha fatto il ministro e tutto quello che era
possibile fare, e che con il benestare della Costituzione e dello stesso Presidente della Repubblica è la seconda carica dello Stato, piaccia o no, pure a me non piacevano certi magistrati che hanno orchestrato i lavori di Palazzo Madama per anni, non avrebbe mai rinnegato il fascismo.

Anche Liliana Segre ha preferito scappare dal palco, a differenza del Senato dove siederà per tutta la vita, che La Russa sia presidente o no. Tutto legittimo, tanto sappiamo che l’opposizione italiana è convinta di vivere nel secolo scorso e di avere a Palazzo Chigi, anzi al Viminale, Benito Mussolini, ma permettetemi di dire che di fronte a una classe politica che si definisce progressista e che perde il suo tempo a scegliere se mettere o meno lo smoking per quello che ha detto La Russa nella sua vita, con quell’effetto ritardo che sa tanto di strumentalizzazione, non mi meraviglia che l’80% degli italiani siano schierati con il gioielliere condannato a 17 anni di carcere per avere ucciso due rapinatori in fuga dal suo negozio. E questo non
per un senso di giustizia fai da te ma perché hanno capito benissimo che il vertice delle istituzioni, composto da chi guida il Paese e da chi dovrebbe proporci una alternativa, è talmente impegnato in questa rissa continua sulle biografie e sulle inezie da dimostrare apertamente di non avere nessun interesse materiale a occuparsi della vita degli italiani.

Ne viene di conseguenza che bisogna fare da soli. E quando passa l’idea che si debba fare da soli, capita
anche che qualcuno si faccia giustizia in proprio. Così come capita che la prima della Scala si trasformi da sacro momento dell’arte e del Teatro italiano nella solita polemica di quarto ordine a cui ci hanno abituati
personaggi che vivono sulle spalle delle tasse dei cittadini da talmente tanti anni da far venire il vomito. Speriamo che diano al gioielliere Ruggero il palco lasciato libero da Landini, perché rappresenta molto meglio di lui i diritti negati ai lavoratori che per quanto possano avere esagerato i gesti per salvare la propria attività e la propria famiglia lo hanno fatto in fondo perché nessuno in questo Paese si è occupato della sicurezza e delle garanzie di chi ogni giorno apre bottega.

Se la sentiranno a casa l’opera. Anzi se la suoneranno da soli come ormai siamo abituati a sentire. Visto che il cosiddetto dibattito politico si è ormai trasformato da anni in una sassaiola fra due visioni del
mondo che non riescono a dialogare, nemmeno a scontrarsi dialetticamente, sul nulla. È una specie di
sciopero della bacchetta, che visto che lascerà qualche posto vuoto in Piazza della Scala, somiglia molto anche agli ultimi scioperi generali di cui si è accorto solo il sindacato e certamente non hanno cambiato di un millimetro lo stato di minorità in cui versa il pensiero della sinistra e la sua reale capacità di costruire una alternativa credibile al futuro dell’Italia, che se si è affidata agli altri non è perché improvvisamente è un paese di scemi ma perché c’è un limite anche all’uso teatrale e personale dei propri incarichi pubblici. Resta il fatto che una sinistra così parla solo a chi l’ha già votata.


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