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La sfida etica del vaccino per il Covid-19

di Redazione -


 

 

Durante le ultime settimane, le notizie sulla prossima disponibilità di un vaccino per il virus Covid-19 sono divenute sempre più insistenti.

Le anticipazioni informali di alcuni esponenti politici sono state confermate da annunci ufficiali, sia a livello nazionale sia sul piano internazionale.

Un’importante multinazionale farmaceutica ha addirittura condiviso le caratteristiche farmacologiche (efficacia al 90%) e sottolineato l’esigenza di una catena del freddo necessaria per lo stoccaggio e la distribuzione delle dosi di vaccino (-80 °C) che saranno rese disponibili tra dicembre 2020 e gennaio 2021.

La notizia non può che essere fondata e vera: personalmente ho più volte costeggiato il grattacielo dell’azienda in questione a Manhattan, nei pressi della sede delle Nazioni Unite. Si tratta di un’azienda talmente solida e cruciale dal punto di vista anche finanziario, che mai potrebbe rischiare una simile fuga in avanti, in una fase come quella attuale, se non sulla base di certezze scientifiche e di ponderate valutazioni economiche.

La Commissione Europea ha quantificato una prima consistente ed importante fornitura (200 milioni di dosi che possono giungere fino a 300), ripartendola in prospettiva per i paesi membri, secondo percentuali predefinite, siglando precisi accordi e facendosi parte diligente mediante negoziazione diretta con il produttore farmaceutico.

Dunque ci siamo: nel mezzo della seconda ondata di questa gravissima pandemia in Europa è giunta, finalmente, una speranza concreta per l’umanità, da mesi riposta nel vaccino, che oggi è stato “inventato” e viene definito tra i più efficaci quantitativamente, nonché tra quelli sperimentati e realizzati più rapidamente nella storia. Personalmente non posso che gioire per la tanto attesa notizia ed aprire il mio cuore alla speranza di un “ritorno al futuro” senza paura e con pari prospettive per lo sviluppo delle nostre società e delle nostre stesse vite, tale come era prima di questa fase oscura e devastante, che ha segnato profondamente l’umanità. Nondimeno, mi preme sottolineare un’inquietudine che subito soggiunge nel considerare una delle sfide più grandi che ci attendono nei prossimi mesi, proprio in relazione al vaccino: non mi riferisco al tema scientifico dell’efficacia di prevenzione del farmaco, né alle questioni tecniche (comunque rilevanti) da affrontare e risolvere per una sua capillare distribuzione.

Il tema che mi spinge all’odierna riflessione è, difatti, solo quello dell’etica e della necessaria e doverosa considerazione della tutela della uguaglianza dei titolari del diritto alla salute, a fronte della tanto agognata cura preventiva per questo flagello.

È ben noto che la sanità costituisce un settore a rischio corruzione, considerato tale anche in documenti ufficiali nazionali (Piani ANAC) e multilaterali (documenti OCSE e G20), poiché permeabile e vulnerabile a fronte di condotte di devianza e favoritismo, ingiusto privilegio e beneficio che troppo spesso colorano l’azione della PA nel settore.

A mero titolo di esempio, considerando il solo periodo della pandemia, nel nostro Paese sono state avviate indagini preliminari per condotte corruttive o penalmente rilevanti in ben 46 casi.

E la situazione è analoga su scala globale. Tutte le organizzazioni internazionali hanno affrontato il tema della corruzione ai tempi del Coronavirus (tra le altre G20, OCSE, CoE, Ue, FMI, World Bank), definendolo una priorità da affrontare nell’agenda multilaterale con la dovuta attenzione.

Oggi la sfida si fa ancora più decisa: essa consiste nella risposta alla domanda sul come assicurare che il vaccino pervenga a tutti indistintamente, in tempi ragionevoli e secondo criteri e parametri certi e controllabili.

Papa Francesco ha chiesto espressamente di globalizzare le cure sanitarie, per dare a tutti «la possibilità di accesso a quei farmaci che potrebbero salvare tante vite per tutte le popolazioni». Egli ha evidenziato detta esigenza, tanto più pressante al tempo della pandemia, quando ampie fasce della popolazione mondiale rischiano di essere escluse dalla distribuzione del vaccino contro il Coronavirus. Sul piano dell’enforcement si tratta però non soltanto di globalizzare, bensì anche di evitare condotte di accaparramento, dumping o, comunque, speculative.

La issue (termine caro agli anglofoni) è multilivello: essa attiene difatti non solo alle relazioni tra paesi (il vaccino dovrebbe essere disponibile per tutti i paesi indistintamente), ma anche ai rapporti interni ai paesi, secondo un’equa distribuzione subnazionale tra regioni e province, ed anche e in ogni caso, alla messa a disposizione del vaccino a tutti i cittadini all’interno delle comunità locali.

Questi ultimi sono i titolari di quel fondamentale diritto alla salute e alla cura messi in gioco dalla pandemia: essi sono e devono restare al centro di qualsivoglia decisione di governance e di policy sulla distribuzione del vaccino nei prossimi mesi.

Prepararsi in tal senso è ineludibile e necessario, fin da ora, cogliendo questa sfida non soltanto sul piano scientifico e tecnico, ma anche sotto il profilo etico, per dimostrare effettivamente che la pandemia da Covid-19 ha trovato l’umanità pronta a cogliere questa sfida nel modo scientificamente, politicamente e, soprattutto, eticamente migliore. Il nostro Paese ha la possibilità e il tempo di farlo, confermando la sua resilienza in questo settore della rule of law, che lo ha posto negli ultimi anni progressivamente come modello globale per gli standard anticorruzione adottati. E ciò, speriamo, avvenga e sia anche adeguatamente comunicato, a dispetto di una certa abitudine allo storytelling deteriore, dagli effetti fortemente negativi per l’interesse nazionale.

Giovanni Tartaglia Polcini

 


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