Editoriale

La Sinistra sul precipizio

di Tommaso Cerno -


Se la politica ha un volto, dove guarda ora la sinistra italiana? Come un ubriaco che torna verso una casa che riconosce più per abitudine che per consapevolezza, il Pd barcolla fra riunioni urgenti convocate più per dire che si sta facendo qualcosa che non per ciò che davvero si è deciso di fare. E chi minimizza, ignaro che il pavimento tremi, che la terra tremi, e che avventurarsi sulla sottile fune del Qatargate (sospeso come un Cozzolino), facendo scongiuri, non è altro che un modo per precipitare. E questo per il motivo più semplice: la sinistra ha preso il potere poco più di dieci anni fa perfettamente all’interno della procedura costituzionale, ma sempre più al di fuori del mandato popolare, attorcigliandosi allo scettro del comando, della decisione, in cambio di una certa ortodossia europeista anche quando questa procurava danni. Per reggere ha dovuto dirsi migliore, l’unico possibile, per la banale logica che un duello non c’era stato. E che la sinistra vinceva per regolamento. A tavolino, come si dice. Una volta sul trono, a capo del sistema di chi decide, è stata esposta a tutto. E si è corrotta. Perché non ha più, dal governo Monti, un vero popolo che l’acclama. Ciò che ha, è al contrario un popolo che se ne nutre. Che ne fa parte. Che la alimenta. E corrompere, al di là degli atti illeciti del gergo giuridico, quello di cui è accusato Panzeri per intenderci, vecchi come l’uomo, in italiano significa degenerare, degradare, scendere al si sotto. Ed è lì che si trova oggi la sinistra. Li sotto. E da lì sotto non si vede fuori. Per cui avviene che il Qatargate, cosi come il caso Soumahoro, degni entrambi di una grande firma hollywoodiana per quanto interpretino cio che di peggio possa oggi fornire la politica, non venga intesa per ciò che è, cioè l’ultima chance di azzeramento della classe dirigente che ha portato Giorgia Meloni e la destra alla guida del Paese, convinta di rappresentare l’Italia, ma venga interpretata come un fastidio in più, qualcosa da cui distinguersi, una nuttata da far passare. È il sintomo tipico dei sistemi politici esausti. Quello che fece deflagrare in pochi mesi il potere democristiano e socialista con Tangentopoli, l’assenza dell’anticorpo politico. L’incapacità cioè di capire che questa classe dirigente della sinistra non è quella che può indicarci la strada o la soluzione. Ma è parte del problema. Anzi forse ne è l’origine. E oggi a noi tocca vedere ciò che ha prodotto. Un pantheon di simboli effimeri. Che come i vampiri, appena arriva la luce, finiscono in polvere. Si chiamino Soumahoro. Panzeri. O chi sarà il prossimo. E qui sta il punto. Perché la sensazione di una forma ostentata dietro cui si cela una sostanza differente, una natura insipida, se non velenosa, può trasmettersi come un brivido lungo la schiena del partito fino all’articolazione democratica: il congresso. Non perché girino soldi, mancherebbe solo questo, ma perché i candidati in campo si professano portatori del nuovo e non lo sono. Sono nuovi lì, sulla poltrona del Nazareno cui ambiscono, ma sono stagionati. Tutti e tre. Figli del Pd stesso che deflagra. Figli di quella stagione. Figli di un dio minore. La sinistra del potere. Infettata. E moribonda.

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