Politica

La società della conoscenza e quell’eterno conflitto tra libertà e diritti dei singoli

di Redazione -


di GIOVANNI BONIOLO
Non è banale parlare di un nuovo partito liberal-democratico e non solo per la difficoltà di costituirlo, ma per la difficoltà di capire chi potrebbe essere considerato liberal-democratico. Il liberalismo ha avuto molte versioni. Per esempio, c’è chi enfatizza di più la libertà dei singoli e chi enfatizza di più i diritti dei singoli. Ma che cosa si intende per libertà? Anche qui le risposte sono molteplici a seconda del teorico che parla. E la stessa cosa vale per i diritti: quali sono i diritti inalienabili? A questi, corrispondono sempre i relativi doveri necessitanti? C’è un aspetto che una eventuale compagine liberal-democratica dovrebbe considerare come necessitante, ossia che non ci può essere una scelta libera, sia individuale sia collettiva, ben fatta se non c’è abbastanza conoscenza per poterla effettuare senza danni per sé o per la collettività. Nel 1999, la Banca Mondiale sancì, punto poi ripreso nel 2005 dall’UNESCO, che viviamo in una società della conoscenza, ovvero in una società a elevato grado di utilizzo delle tecnologie elettroniche in ambito informazionale e caratterizzata da individui che sanno reperire informazione, che sanno maneggiarla, modificarla creativamente e usarla al fine di aumentare la qualità della vita loro e di coloro cui sono interessati.
Si ha così una definizione di conoscenza basata sulla possibilità di aumentare la qualità della vita nostra, dei nostri cari e dei nostri concittadini in base all’informazione che abbiamo e che siamo capaci di recuperare e manipolare.
Tuttavia, già l’UNESCO metteva in guardia contro la divisione conoscitiva che si veniva a creare fra coloro che sanno (e che sanno usare ciò che sanno) e che quindi vivono e muoiono meglio e fan vivere e morire meglio i loro cari e i loro concittadini, e coloro che non sanno (e che non sanno usare quel poco che sanno) e che quindi vivono e muoiono peggio e fan vivere e morire peggio i loro cari e i loro concittadini. Tale divisione conoscitiva non è da ravvisare solo fra paesi ricchi e poveri, come sempre l’UNESCO temeva, ma è trasversale pure all’interno dei paesi ricchi, o considerati tali come l’Italia. Ovvero, ci sono cittadini che vivono appieno la società della conoscenza e cittadini che, per motivi anagrafici, socio-economici, culturali, etnici ecc., non riescono a fruirne e diventano vittime di cialtroni e imbonitori con conseguenze negative non solo per la loro qualità della vita e per quella dei loro cari, ma anche per quella della vita pubblica, giacché possono votare, essere votati, esprimersi pubblicamente ed essere ascoltati.
Tale divisione conoscitiva comporta un’ingiusta distribuzione delle possibilità di avere una buona qualità della vita (e della morte); dell’accesso all’ascensore sociale (meno si sa e minori sono le possibilità di cambiare posizione e ruolo sociale); delle capacità decisionali (poca conoscenza comporta verosimilmente peggiori decisioni individuali e pubbliche); della corretta informazione su cui basare le proprie scelte in ambito di salute (scelta dei cibi, dello stile di vita, delle cure ecc.); della capacità di riconoscere esperti che possono essere utili per i casi della vita (avvocati, medici ecc.); della capacità di pensare criticamente in modo corretto, con tutti i danni che ciò comporta sia a livello privato che pubblico nel non saper distinguere un cialtrone o un imbonitore da un esperto, una sorgente di notizie false o imprecise da una sorgente di corretta informazione.
Ecco, una compagine liberal-democratica, in qualunque modo la si volesse intendere, oggi come oggi non dovrebbe prescindere dall’occuparsi della divisione conoscitiva perché non ci può essere liberale che non conosca abbastanza per compiere quelle scelte che sono necessarie per la sua libertà o per la libertà dei suoi cari o dei suoi concittadini.


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