Primo Piano

La storia di Cutro e degli 007

di Rita Cavallaro -


L’intelligence italiana è alla frutta. Ma anche al dolce e alle ricette gourmet, preparate con dovizia dallo chef personale che Elisabetta Belloni ha portato al Dis, per soddisfare tutti i suoi desideri culinari. Una figura che non poteva certo mancare tra gli 007 nostrani, sempre più isolati e politicizzati, tanto da lanciare falsi allarmi per mostrare, in tempo di nomine, di essere ancora protagonisti tra i servizi di sicurezza in Africa, diventata la polveriera d’Europa per il fiume umano che tenta di raggiungere l’Italia, e in Russia, lo scacchiere della guerra ucraina. Così tra un piatto di spaghetti e una millefoglie elaborata dal cuoco-spia, i servizi italiani brancolano nel buio nello scenario internazionale. Mentre il capo del Dis, sulla scia dell’ex sottosegretario con delega ai Servizi Franco Gabrielli, è intenta a mandare via sempre più professionisti dai reparti, il nodo dell’immigrazione clandestina diventa un macigno, che ricade immeritatamente sul governo di Giorgia Meloni, sotto scacco dalla tragedia di Cutro. L’esecutivo, infatti, è finito alla mercé degli attacchi dell’opposizione, che insiste sul fatto che il ministro Matteo Piantedosi e la stessa Giorgia Meloni non abbiano chiarito le circostanze sul mancato invio dei soccorsi. La verità è che, in questo caso, paga il giusto per il peccatore: la maggioranza si è fatta incudine perché il martello sarebbe stato più dannoso, portando alla luce le gravissime lacune dei servizi di sicurezza italiani. Messi all’angolo e isolati da tutte le intelligence del mondo, sfiduciate verso i nostri 007, che hanno perso il controllo delle aree più critiche del pianeta. La “missione Africa” è finita in mare, insieme ai corpi dei naufraghi a Cutro. È ovvio che è impossibile fermare l’immigrazione clandestina, ma le rotte che i migranti percorrono per invadere l’Europa sono note da dieci anni. Libia, Tunisia, Balcani e ora Turchia. Chi si dovrebbe porre il problema di prevenire queste ondate ed evitare i morti? Politicamente il governo, che nell’ultima riunione del Consiglio dei ministri sulla questione ha deciso di arrestare gli scafisti, inseguendo i trafficanti di esseri umani in tutto il “globo terraqueo”. Ma materialmente, quale sarebbe l’entità preposta a farlo? Non certo lo chef della Belloni e neppure il suo storico amico, l’ex Asl Angelo Tanese, vicino a Nicola Zingaretti e diventato capo del personale al Dis.
Generalmente sono le milizie libiche che si interfacciano con i nostri agenti, ma la situazione di instabilità, con la Tunisia a rischio fallimento e i Balcani con il presidente turco Erdogan alla prese con la costruzione del muro, ha creato un cortocircuito nello scambio delle informazioni. Il controspionaggio italiano, infatti, è del tutto assente dalla Libia, mentre la presenza in Turchia e sul territorio balcanico è quasi irrilevante, in una situazione che stona con il gran numero di agenti segreti “parcheggiati” da Gabrielli nelle stanze del ministero degli Esteri. E allora, chi aiuterà la premier Meloni a portare avanti la sua sacrosanta caccia agli scafisti e a presidiare il territorio? In questa situazione di caos e burocratizzazione, con le spie sempre più in ufficio e poco sul campo, l’obiettivo appare arduo, a meno di una riforma dell’intelligence che possa ristrutturare i servizi e riposizionare gli agenti negli snodi chiave del mondo.
Alla stregua della brigata Wagner, che funziona perché è ramificata da oltre dieci anni in Africa, tanto da risultare fondamentale nel colpo di stato in Mali. La brigata ha inoltre ottimi rapporti con l’intelligence turca. Non dimentichiamo che la liberazione della nostra connazionale Silvia Romano, rapita in Kenya il 20 novembre 2018 e rimasta ostaggio degli islamici per 18 mesi, non è stata opera dei servizi segreti nostrani, che si sono limitati ad accompagnarla a casa, ma degli 007 turchi. Una storia che nessuno racconta: un violento conflitto a fuoco, nel quale gli italiani erano assenti, ha portato al successo dell’operazione e, alla fine, i turchi hanno consegnato la Romano agli italiani. Servizi turchi che, per liberare la ragazza, hanno combattuto contro l’organizzazione terroristica somala sunnita Al-Shabaab. Di fronte a un livello elevato di attività e alla mancanza di terminali sul territorio in grado di filtrare le fake news, non potevano che essere una boutade sia la notizia che Wagner riempirebbe i barconi di migranti e perfino la taglia sul ministro della Difesa, Guido Crosetto.
E anche il solo pensare che i vertici del Cremlino possano aver dato ordine alla Wagner di invadere con migliaia di migranti l’Italia o di minacciare il ministro vuol dire non conoscere il mondo delle spie. O, peggio, si tratta di disperati tentativi di nascondere una verità altamente imbarazzante nel momento attuale: l’Italia è fortemente infiltrata da spie russe, storicamente formate per eseguire missioni sofisticate, come il polonio nel tè per uccidere una persona sgradita a Vladimir Putin, e non operazioni grossolane come riempire barchini. Un’infiltrazione causata dal fatto che il controspionaggio svolto dall’Aisi, l’agenzia che deve impedire ad agenti stranieri di portare via dal nostro Paese documenti di sicurezza Nato, ormai è un miraggio, come dimostra la recente condanna per spionaggio di Walter Biot e la mancata scoperta dell’identità delle “manine”, cercate a lungo da Gabrielli, che consegnarono la lista dei putiniani al Corriere della Sera. Lo stesso quotidiano che ha lanciato in prima pagina l’allarme degli 007 sui 665mila migranti dalla Libia per invadere l’Italia. Un annuncio che ha creato allarme sociale e che, invece, è solo propaganda per destabilizzare il governo Meloni, visto che lo stesso dato è riportato già nelle vecchie relazioni annuali dei servizi segreti, che sono pubbliche. In quella del 2017, a pagina 73, e in quella del 2019, a pagina 90, l’intelligence annunciava che erano in arrivo dalla Libia verso l’Italia 600mila migranti. Nel 2023, ben sei anni dopo, gli 007 riciclano lo stesso dato, copiandolo dalla Unhcr. Se si volesse fare davvero informazione, allora bisognerebbe informare sui 5 milioni di migranti che dalla Turchia vorrebbero entrare in Europa. Perché il tema non è lanciare l’allarme, ma è come risolvere il problema. Nessuna soluzione dai vertici della sicurezza, più interessati alla “pulizia etnica” interna ai servizi, nel corso della quale a pagarne il prezzo è la professionalità. Sono lontani i tempi in cui, dopo il crollo delle Torri Gemelle, per i posti apicali dell’intelligence venivano selezionati agenti segreti, impiegati anche in teatri di guerra, con un curriculum operativo che non aveva nulla da invidiare ai dirigenti delle altre agenzie del mondo. Ma la riforma dei servizi, con il passaggio dalla legge 801 alla 124 che prevedeva la trasformazione del Cesis in Dis, di Sismi in Aise e di Sisde in Aisi, è stata deleteria perché ha dato vita a un apparato burocratico non più operativo e, dunque, incapace di contare nelle varie cancellerie europee. Se ci fosse una seria politica dell’intelligence, in Italia non saremmo vittime del caso e degli eventi, come accaduto a Cutro. E se in quel natante, anziché i migranti, ci fossero stati dei terroristi? Possibile che non ci sia alcun alert preciso delle spie, che possa fare da prevenzione agli scandali che ricadono su questo Paese? Come quello del fermo di Imad al-Trabelsi, beccato, dopo aver incontrato alcuni politici italiani, con una valigia contenente 500mila euro, di cui non ha saputo giustificare la provenienza. Insomma, un caos. Ed è questo caos nei servizi ad aver provocato il casino alla premier Meloni.

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