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La strage dei migranti che cambierà l’Europa. Si temono cento morti

di Redazione -


A poco più di cento metri c’era la terra promessa e la speranza di una nuova vita, lontano dalle guerre, dalla fame, dalle macerie del terremoto. Ma la furia del mare ha infranto tutti i sogni sulla riva, insieme ai cadaveri di grandi e bambini. Di migranti che fino all’ultimo respiro hanno sperato di essere risparmiati da quello specchio d’acqua, così benevolo nelle serate d’estate quando la superficie è calma come una tavola e tanto terribile quando lo scirocco soffia all’improvviso e lo ingrossa provocando onde talmente alte da sembrare muri insormontabili. E chi ci vive lo sa: più si va verso la riva e più la furia è devastante, per la forza dei cavalloni che sbattono sulla battigia e per il fondale profondo, che anche chi sa nuotare rischia di affogare.
Lo Ionio, domenica, di fronte alle coste crotonesi di Cutro, ha preteso i suoi morti. E ancora non ha restituito tutti i corpi, perché i soccorritori, i quali hanno accertato più di 65 vittime, sono convinti che i naufraghi che non ce l’hanno fatta siano oltre cento. Settantanove i sopravvissuti: 28 afghani, 16 pakistani e gli altri provenienti da Iran, Somalia e Palestina. Erano partiti quattro giorni fa dalla Turchia, con un “biglietto” di sola andata pagato fino a 8mila euro ai trafficanti di esseri umani, per salire su una barca marcia che si è frantumata in mille pezzi quando, dopo essersi incagliata su una secca sabbiosa, è stata frustata dal vento e dal mare forza 5. In quel momento si è scatenato il panico i migranti. Tra le preghiere, le urla disperate delle madri che cercavano di salvare i loro bambini e gli scafisti che per alleggerire il natante gettavano la gente in mare. Convinti che, come è successo tante volte, qualcuno sarebbe arrivato a salvare i naufraghi. Ma nonostante l’allarme, a quella barca nessuno è riuscito a giungere in tempo, a causa del mare in tempesta. E quei disperati non hanno avuto scampo, inghiottiti dalle acque mentre annaspavano con le ultime forze rimaste. E ancora peggio è andata alle donne e ai loro piccolini che si erano riparati nella stiva: la barca si è capovolta e li ha portati con sé a fondo, prima di risputare i loro corpi senza vita sulla spiaggia diventata un lugubre cimitero. In una devastazione che si è manifestata in tutta la sua drammaticità agli occhi dei soccorritori, degli abitanti di quei paesini ormai abituati a vedere sbarcare disperati sulle carrette del mare, ma che non possono arrendersi di fronte alla morte e al senso di impotenza. Di fronte alle scaramucce di una politica europea che, finora, si è contraddistinta per i moniti all’Italia, per i bracci di ferro sulla redistribuzione dei migranti, per i flebili piani sull’immigrazione clandestina. “Perché tragedie come queste non accadano più”, è il mantra che si sente tutte le volte. E invece accade di nuovo, sempre peggio.
E oggi alla foto shock di Alan Kurdi, il piccolo siriano che giaceva sulla sabbia dopo il naufragio del 2015, bisogna aggiungerne una ventina, perché tanti sono i corpicini dei bimbi recuperati dalle acque davanti a Cutro. I pochi piccoli che sono sopravvissuti miracolosamente sono rimasti soli, senza mamma e papà, con il dolore della loro famiglia per sempre cancellata. Davanti a questo non ci può essere un “ma”. Il “ma” della premier Giorgia Meloni, “profondamente addolorata” ma “è criminale mettere in mare un’imbarcazione lunga 20 metri con 200 persone a bordo e previsioni meteo avverse”, ha detto. O il “ma” del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi: “La disperazione non può mai giustificare viaggi che mettono in pericolo i propri figli”. Quasi come se la colpa fosse dei genitori, irresponsabili perché hanno rischiato per avere un futuro piuttosto che arrendersi alla furia del terremoto. La soluzione, secondo il titolare del Viminale che ieri ha avuto una bilaterale con l’omologo francese, sarebbe quella di non farli partire. Una proposta di difficile applicazione, alla quale ha risposto Sergio Di Dato, responsabile dell’intervento a Cutro di Medici senza Frontiere: “Il discorso è che a monte bisognerebbe creare dei canali di flusso, chiediamo la possibilità alle persone di potersi spostare in Europa in maniera sicura”.
Anche perché, stavolta, non siamo di fronte alle traversate dalla Libia, dove ad alcuni migranti viene impedito di partire trattenendoli in centri di detenzione illegali. I disperati inghiottiti dallo Ionio sono arrivati dalla rotta greco-turca, un percorso più breve e più sicuro, ma fuori controllo rispetto alle rotte più pattugliate che dall’Africa affrontano il Mediterraneo. Negli ultimi anni il flusso migratorio che, passando da Grecia e Turchia, arriva in Italia attraverso i Balcani, ha cambiato volto, soprattutto a seguito delle politiche messe in atto dal presidente turco Erdogan. I fondi stanziati dall’Unione Europea hanno portato all’innalzamento del muro tra Grecia e Turchia, alle barriere nei paesi di Visegrad e ai respingimenti di massa in Croazia e a Trieste. Così i disperati scelgono la via del mare.
Solo nel 2022, secondo i dati Frontex, ben 29mila migranti hanno preso la rotta dell’Egeo. Di questi, 18mila sono sbarcati sulle nostre coste. Portati a destinazione dai trafficanti di esseri umani. Tre quelli arrestati finora per il terribile naufragio di Cutro.

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