Attualità

La strage di Capaci e la “questione morale”

di Francesco Da Riva Grechi -


Per costruire una città armoniosa occorre qualcosa di più della tecnica. Ad esempio la Primavera di Botticelli e la forza degli affetti. Questo bel pensiero non è di chi scrive bensì di Marco Mancini, da Le regole del gioco. Dal terrorismo alle spie russe, il suo libro, oggetto di recensione in questa rubrica qualche settimana fa. Si tratta di uno dei migliori agenti del controspionaggio militare italiano, della prima divisione del (allora) Sismi, conosciuto dal grande pubblico per il suo incontro con Matteo Renzi all’autogrill il 23 dicembre 2020. Introduce ad un filo rosso che può collegare il ricordo di Giovanni Falcone e della strage di Capaci, avvenuta il 23 maggio del 1992 ed una fitta trama di tradimenti di Stato, attività dei servizi segreti e soldi. Non tutti sanno che quella strage, compiuta con “modalità militari” oltreché mafiose, impedì un’inchiesta che avrebbe avuto conseguenze infinitamente maggiori di quella che port al maxi-processo di Palermo avviata dalle rivelazioni di Tommaso Buscetta. Soprattutto avrebbe portato Giovanni Falcone ed il pool di Palermo ad un livello mai raggiunto. La storia non si fa con i sé, ma si pu raccontare cosa effettivamente è successo in quegli anni così drammatici con il crollo della prima repubblica e le terribili stragi che hanno sconvolto l’Italia. Il racconto non è per di un italiano, pensi di Valentin Stepankov, l’ultimo procuratore generale sovietico ed il primo della Federazione Russa nata dopo il crollo dell’URSS. Come testimonia il libro, Il viaggio di Falcone a Mosca, scritto da Francesco Bigazzi con Stepankov, dopo il fallito golpe di Mosca dell’agosto 1991 e l’affidamento a Stepankov della relativa inchiesta, la visita del procuratore russo a Roma nel febbraio 1992 e l’incontro con Falcone, costituirono il primo atto di un’intesa destinata a svilupparsi con la promessa di un imminente viaggio di Falcone a Mosca. La data era già appuntata sull’agenda dei due magistrati. Ad impedire quell’incontro quasi un quintale di tritolo e la morte sull’autostrada A29 Punta Raisi – Palermo di Giovanni Falcone, sua moglie Francesca e degli agenti della scorta. L’appuntamento a Mosca era stato preparato con cura dallo stesso magistrato palermitano e da Valentin Stepankov, che a Mosca indagava sul vuoto di potere creatosi dopo il golpe e 1746 suicidi di alti dirigenti sovietici in tre mesi. Sostiene quest’ultimo, che il disvelarsi della cortina di ferro poteva per la prima volta aprire le porte del Cremlino ad un magistrato italiano famoso in tutto il mondo. Sul tavolo l’immensa mole di documenti sul finanziamento dei partiti fratelli del PCUS, ormai sciolto, e l’incontenibile fiume di denaro che dall’apparato decomposto dell’impero sovietico finivano nelle mani di nuovi poteri soprattutto criminali. Francesco Bigazzi ricostruisce con scrupolo le vicende italiane incentrate sul modello delle cooperative del PCI, sul quale ironizza Carlo Nordio, autore di un breve saggio sulla questione morale, definita “favola vuota”, in appendice al libro. Nordio racconta che da Venezia, dove era procuratore aggiunto, ricostruì in parte i flussi di mazzette riciclate dal compagno G e di cui non si seppe nulla durante “mani pulite”, l’inchiesta milanese iniziata il 17 febbraio 1992. Da leggere, non solo per motivi storici.


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