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La straordinaria gravità degli abusi al Beccaria. Intervista a Michela Brambilla

di Giuseppe Ariola -

Il presidente della Commissione infanzia e adolescenza Michela Vittoria Brambilla


Il carcere minorile Cesare Beccaria di Milano viene dipinto dagli inquirenti più come una casa delle torture che come un penitenziario. La funzione rieducativa della pena, tanto più importante e necessaria quando si parla della riabilitazione di adolescenti in stato di ristrettezza, all’istituto minorile del capoluogo lombardo sembra aver ceduto il passo a un sistema di abusi e violenze che, secondo la procura, vedrebbe coinvolte anche “una serie di figure apicali” deputate alla gestione del carcere. Ne abbiamo parlato con la presidente della commissione parlamentare di inchiesta sull’infanzia e l’adolescenza, Michela Brambilla, che ha sottolineato l’importanza di “insegnare l’empatia” agli adolescenti reclusi, “altrimenti per questi giovani muore la speranza”.

Quanto reso noto dagli inquirenti fa emergere un quadro inquietante su quella che sembra essere, purtroppo, la normalità al carcere minorile Beccaria. Lei è la presidente della commissione parlamentare d’inchiesta su infanzia e adolescenza, cosa ne pensa e quali iniziative pensa di intraprendere per approfondire la vicenda?

“Gli abusi documentati dall’inchiesta della Procura di Milano, alla quale ha partecipato la penitenziaria stessa, sono di straordinaria gravità. Si tratta di fatti inaccettabili in qualsiasi carcere di un Paese che voglia dirsi civile. E lo sono a maggior ragione perché consumati in un Istituto penitenziario minorile. Il ragazzo che finisce in un Ipm già si scontra con un mondo di regole che non comprende e che gli risulta estraneo. Figuriamoci se incontra anche la violenza illegale da parte di chi rappresenta l’autorità. Perderà ogni speranza e sarà impossibile indirizzarlo nella direzione giusta: quella del recupero e del reinserimento. Allora sì l’Istituto penitenziario si trasformerà nella classica ‘Università del crimine’, dalla quale gli ‘apprendisti’ escono delinquenti diplomati. Di questi problemi la commissione Infanzia si è già occupata nell’ambito dell’indagine sul degrado materiale, morale e culturale nella condizione dei minori, ascoltando, tra gli altri, il cappellano del Beccaria don Burgio. Ora proseguiremo con ulteriori approfondimenti”.

Spesso la cronaca riporta casi di minori a cui vengono negati i propri diritti. In questa circostanza si sembrerebbe essere in presenza addirittura di una loro violazione sistematica, oltretutto con profili di inaudita violenza. Una brutta pagina per chi si occupa di minori.

“Una sconfitta terribile dello Stato e delle istituzioni, qualcosa che non avremmo mai voluto vedere. Non in queste dimensioni, comunque, e con la connivenza – a quanto pare – dei dirigenti”.

Nel corso dell’attività della Commissione, ha riscontrato casi simili o comunque situazioni particolarmente allarmanti in altri istituti per minori?

“No, ma il Beccaria è uno degli Ipm più importanti del Paese, ha una lunga storia che in passato ne ha fatto uno dei ‘modelli’ della giustizia minorile italiana. Eppure, è stato evidentemente investito dalla crisi che riguarda, temo, tutto il sistema degli Ipm: manca il personale penitenziario, mancano educatori, mancano psicologi, mancano mediatori culturali per ‘parlare’ anche alla crescente popolazione di minori stranieri non accompagnati: figure professionali sottopagate, a fronte di un lavoro difficoltoso e rischioso. Non ci sono posti nelle comunità di accoglienza, che spesso chiudono per la difficoltà ad accreditarsi o per un’infinità di altri problemi”.

Alla luce di quanto emerso a Milano, immagina di effettuare un focus sui penitenziari minorili italiani per capire se si è in presenza di un caso isolato o se, invece, determinate modalità di gestione dei minori ristretti sono delle vere e proprie prassi?

“Proseguendo sulla strada già intrapresa, proporrò di audire quanto prima i responsabili del Dipartimento giustizia minorile. Potranno fornirci un quadro completo ed esaustivo della situazione degli Ipm”.

E’ possibile immaginare forme alternative alla detenzione, anche per facilitare la finalità rieducativa della pena, tanto più per quanto riguarda i minori?

“Non solo è possibile, è necessario. La sfida principale è lo sviluppo e la disciplina della giustizia riparativa, che consente di superare le questioni derivanti dal reato con la partecipazione dell’autore, della vittima e di un soggetto terzo formato e imparziale. Nel campo della giustizia minorile la mediazione penale trova uno spazio di applicazione quanto mai promettente. Lo Stato ha il dovere di affrontare i problemi anche con l’approccio repressivo-punitivo, ma non può essere questa l’unica risposta. Bisogna saper ascoltare i ragazzi che hanno commesso reati, far capire in che cosa consiste il disvalore delle loro azioni, insegnare l’empatia. Altrimenti per questi giovani muore la speranza”.


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