Dossier Ai

La tecnoguerra globale, così Ue e Usa sfidano Pechino sull’Ai

di Giovanni Vasso -


Gli Stati Uniti guadagnano un alleato fondamentale per la lotta alla Cina. L’Europa si schiera con l’Occidente nella guerra tech e, tra materie prime, produzione e ricerca, sceglie di abbracciare il suo tradizionale alleato. Certo, potrebbe sembrare una scelta “telefonata”, si potrebbe obiettare che, in fondo, anche solo pensare che Bruxelles possa voltare le spalle a Washington è una mezza eresia. Il fatto è che i singoli Stati membri, a cominciare dalla Germania e a finire all’Italia, hanno con Pechino rapporti economici e commerciali solidissimi. E se non sorprende la decisione delle istituzioni comunitarie di dichiararsi, senza se e senza ma, con l’America nella lunga battaglia dei chip e dell’alta tecnologia c’è ora da chiedersi cosa faranno i governi nazionali che, in tanti casi, non possono più prescindere dall’alleanza con il Dragone.

La sfida dell’Ai
Usa e Ue firmeranno un accordo comune sull’intelligenza artificiale con la speranza che, a Bruxelles e Washington, si accodino gli altri Stati che orbitano attorno al blocco occidentale. È questione di “poche settimane”. Si tratta del succo della dichiarazione comune sottoscritta tra il segretario di Stato americano Anthony Blinken e la vicepresidente della commissione Ue Margrethe Vestager. I due si sono incontrati, qualche giorno fa, in Svezia. Dove hanno presieduto il consiglio per il commercio e la tecnologia tra i Paesi delle due sponde dell’Atlantico. Secondo Ue e Usa l’Ai è “tecnologia trasformativa con grandi promesse per il nostro popolo, che offre opportunità per aumentare la prosperità e l’equità”. Ma, come insegnano le avventure di Spiderman, da grandi poteri derivano grandi responsabilità: “L’Unione europea e gli Stati Uniti ribadiscono il loro impegno per un approccio all’Ai che tenga conto del rischio e faccia progredire tecnologie affidabili e responsabili”. Il codice, nelle intenzioni di Blinken e Vestager, “sarebbe aperto a tutti i paesi che la pensano allo stesso modo, c’è quasi sempre un divario quando emergono nuove tecnologie, e serve tempo necessario ai governi e alle istituzioni per capire come legiferare o regolamentare”. L’America, quindi, si pone alla testa dei Paesi che a lei afferiscono, nella logica dei blocchi, per quanto riguarda l’alta tecnologia. E ribadisce il suo primato dal momento che l’Europa, pur cofirmataria dell’accordo, non ha lo straccio di un campione digitale che possa davvero fare la differenza sul territorio della contrattazione. L’intelligenza artificiale è la frontiera più avanzata. È conseguenziale che, oltre all’Ai, Washington indicherà la via anche sugli altri aspetti dell’innovazione, della tecnica e della produzione.

Terza via
Come fosse l’ultimo de Gaulle, il ministro alle imprese e al Made in Italy Adolfo Urso torna a chiedere una politica industriale europea che sia capace di far uscire il Vecchio Continente dalla sudditanza e lo riporti al centro del mondo. Da Bruxelles, Urso ha spiegato: “Il governo italiano sostiene una risposta europea assertiva, attiva, significativa e soprattutto comune alla doppia sfida che viene dagli Usa e dalla Cina alla competitività dell’industria del Continente, impegnata nella transizione ecologica e digitale”. Secondo Urso, che torna a battere dove duole il dente della strategia europea: “Questa risposta non potrà limitarsi alla facilitazione degli aiuti di Stato, di cui potrebbero beneficiare solo gli Stati membri con più margine di bilancio, ma dovrà impegnare anche risorse comuni europee”. Il ministro ha poi sottolineato di ritenere “importante che l’Europa abbia una risposta assertiva, attiva, significativa sul piano finanziario; una risposta comune europea, come ha già fatto durante la pandemia”.

ACC-elerata
L’Ue dà mostra di voler attaccare il Dragone al centro della sua strategia. E cioè sul fronte dell’elettrificazione dell’auto. A Douvrin, in Francia, è stata inaugurata la prima gigafactory del consorzio Acc, Automotive Cell Company, a partecipazione paritetica tra Mercedes, Stellantis e Total Energies. Accanto ai dirigenti delle aziende, la parata dei politici. Da Bruno Le Maire, ministro dell’Economia francese, allo stesso Urso e a Volker Wissing, titolare del dicastero dei trasporti in Germania. La fabbrica francese sarà operativa tra sei mesi. Avrà 300 dipendenti e una capacità di 13 gigawattora. Ma l’obiettivo, verso il 2030, è di salire a 2mila operai e a 40 Gwh. Lo stabilimento di Douvrin rappresenta uno dei tre vertici del Triangolo europeo delle batterie per auto elettriche. Tra due anni, infatti, toccherà a Kaiserslautern mentre, nel 2026, finalmente dovrebbe iniziare a essere operativo lo stabilimento progettato a Termoli, in Molise. L’investimento complessivo è stimato in 7,3 miliardi. Di questi poco meno di 1,7 provengono da casse pubbliche. La Francia e la Germania hanno contribuito per 1,3 miliardi mentre per Termoli sono stati investiti 370 milioni. Per quanto riguarda l’impianto molisano, l’obiettivo sarà quello di portare la produzione a 24 Gwh. Che vorrà dire riuscire a produrre batterie per (almeno) mezzo milione di automobili all’anno. L’obiettivo dichiarato è quello di accorciare le filiere e di arrivare a una sorta di reshoring delle grandi tecnologie e, in questo caso, della produzione automobilistica. Allo stato attuale, il player internazionale più strutturato e forte sulle tecnologie di batterie per auto è la Cina. Non a caso, nei giorni scorsi, Elon Musk si è recato a Pechino dove è stato accolto come un Capo di Stato. Musk, con Tesla, punta fortissimo sulla fabbrica di Shangai. E non sembra avere intenzione di mollare la produzione cinese.


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