Esteri

La Turchia celebra la conquista di Istanbul e si prepara a invadere nuovamente la Siria

Il “sultano” Erdogan ha annunciato una nuova operazione militare nel Rojava, suscitando la preoccupazione degli Stati Uniti. E intanto continua a bloccare l’ingresso di Svezia e Finlandia nella Nato

di Davide Romano -


Decine di migliaia di persone, fuochi d’artificio, droni, luci, grandi spettacoli e ovviamente tanti applausi per Recep Tayyip Erdoğan. La Turchia ha celebrato in grande stile il 569esimo anniversario della conquista di Istanbul da parte dell’Impero Ottomano; Costantinopoli fu assediata ben ventotto volte prima di cadere per mano del sultano Maometto II nel 1453. Festeggiamenti in pompa magna funzionali all’impianto ideologico del “neo sultano” Erdogan, che prepara così la popolazione turca ad una nuova impresa militare. Ankara sta organizzando la quarta operazione militare nel nord della Siria in poco più di cinque anni. L’obiettivo dichiarato questa volta è quello di completare “l’operazione sorgente di pace” del 2019, l’offensiva che mirava a creare una zona cuscinetto di “sicurezza” profonda 30 chilometri tra il confine turco e parte della Siria nord-orientale, attualmente sotto il controllo delle Forze democratiche siriane (Fds).

L’obiettivo principale di Erdogan sono i curdi-siriani dello Ypg e del Pyd, che rappresentano le componenti principali delle Fds nella regione autonoma che i curdi chiamano Rojava. “Intraprenderemo nuovi passi relativi alle parti incomplete del progetto che abbiamo iniziato di una fascia di sicurezza profonda 30 km che abbiamo deciso lungo il nostro confine meridionale” ha annunciato Erdogan meno di una settimana fa. Secondo alcuni media turchi, le cosiddette “parti incomplete” a cui si riferisce il presidente turco riguarderebbero le aree di quattro città considerate strategiche: Kobane, città simbolo della resistenza dei curdi contro l’Isis che si trova proprio a ridosso del confine turco-siriano, Tal Rifat, centro che sorge sulla strada che da Aleppo porta ad Afrin nel nord-ovest della Siria, Manbij, città situata tra Aleppo e Kobane e Ain Issa, centro situato nel nord-est siriano a ridosso della zona conquistata dalla Turchia nel 2019.

Le parole di Erdogan hanno allarmato gli Stati Uniti, che per bocca di Samuel Werberg, portavoce del Dipartimento di Stato per il Medio Oriente, si sono detti “preoccupati” per una offensiva nella Siria settentrionale che metterebbe a rischio la stabilità regionale. Preoccupazioni che non sembrano però sortire alcun effetto su Ankara, visto che le forze armate turche in questi giorni hanno già iniziato a colpire con l’artiglieria alcune postazioni dello Ypg nel nord della Siria. Erdogan può contare ovviamente sull’appoggio dell’Esercito nazionale siriano (l’ex Free Syrian Army) che si oppone al legittimo governo di Bashar Al Assad, ma anche sul supporto di gruppi jihadisti come Ahrar al-Sham.

Le crescenti tensioni in Siria influiscono anche nella altre questioni internazionali in cui la Turchia gioca un ruolo importante. Prima fra tutte l’adesione di Svezia e Finlandia alla Nato, che Erdogan continua a bloccare proprio in virtù del sostegno che i sue paesi scandinavi forniscono ai curdi, comprese le formazioni militarmente attive in Siria. C’è poi la questione dei migranti. La Grecia ha annunciato di voler sigillare completamente il confine con la Turchia nel nord-est del Paese, per impedire l’attraversamento a piedi delle persone che provano ad entrare in Europa a piedi. Attualmente ci sono 35 chilometri di recinzione, Atene ha annunciato di volerla completare portandola a 80 chilometri. La Grecia teme che Erdogan, proprio in virtù delle mire militari in Siria, potrebbe replicare lo schema del 2020, utilizzando i migranti come strumento di pressione.


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