Cronaca

La “Visione della Professione” secondo Gino Falleri

di Redazione -


Il ricordo, a due anni dalla sua scomparsa

Il 18 di marzo è un giorno che ricordiamo e ricorderemo sempre, con il cuore pieno di affetto e di consapevole straniamento, perché in quel triste 2019 ,il Decano dei Giornalisti di Roma e del Lazio, Gino Falleri, ci ha lasciati e questo Suo lasciarci, con quell’aplomb che lo ha sempre contraddistinto durante tutto il Suo percorso umano e professionale non può che vederci, nello spazio delle nostre umane possibilità, declinati a dare voce e corpo alle Sue, per molti, ma non per noi, “visionarie” intuizioni. Riflessioni e studi  che, oggi ma non da oggi, sono entrate nella vita di chi, in queste temperie, si trova a vivere, nei diversi momenti della sua attività professionale, le conseguenze per non aver affrontato e se possibile avere dato una positiva soluzione a quelle rapide trasformazioni che   a tutti sarebbe accaduto di dover affrontare. Uomo e giornalista, giornalista e uomo da sempre, non ha separato la Sua funzione di ” Civil servant” a tutela e garanzia, in tutte le Istituzioni nelle quali ha prestato, sempre, a livelli apicali, la Sua funzione. Visionario no! Collega di profonde letture e di vasti rapporti umani e professionali, senza alcuna preclusione, ma cristallini, ha da sempre operato per traghettare la Categoria nel mondo, ineludibile della Rete. Lo ricordiamo, qui, con questi versi di Rainer Maria Rilke: “Il Futuro entra in noi, per trasformarsi in noi, molto prima che accada”. 

Mauro de Vincentiis

 

Qui di seguito, riportiamo, il Suo editoriale pubblicato su “Giornalisti europei” il 28 gennaio 2019.

 

È cambiato il modo di comunicare?

Una domanda. E’ cambiato il modo di comunicare ed informare? A quanto sembra la risposta non può essere che positiva. Significa, in breve sintesi, che le aree di comunicazione e l’ufficio stampa potrebbero essere sostituiti dai tweet, inviati direttamente dai ministri in carica e dai nostri deputati, da facebook e dal portavoce. E’ la realtà quotidiana a testimoniarlo. L’arresto di Cesare Battisti in Bolivia, tanto per fare un esempio, è stato un florilegio di tweet intercontinentali. Nel numero di novembre del 2018 di “Prima Comunicazione” è presente un articolo di Nadia Bartolucci intitolato Portavoce, la nuova era. La conseguenza è che tra le competenze del portavoce sono state inserite sia la comunicazione che l’informazione in violazione della legge 150/2000, che affida invece l’informazione ai giornalisti. E’ loro l’obbligo rispettare la deontologia mentre per il portavoce non si prevede che debba essere iscritto a un albo e a quali principi deontologici debba fare riferimento. L’articolo della Bartolucci, offre un quadro su come si è organizzato l’attuale governo in materia di comunicazione, richiama alla memoria la figura di Edward Louis Bernays, che unitamente ad Ivy Lee, all’inizio dell’altro secolo, oltre a fondare negli Stati Uniti, dove era emigrato, la Scienza delle Pubbliche Relazioni era dotato di non poche qualità per manovrare l’opinione pubblica. Negli anni Venti alle donne americane non era concesso di fumare nei luoghi pubblici. Ebbene con una manifestazione al Central Park le ha trasformate in fiaccole della libertà e il divieto cancellato. Tutto si evolve sotto la spinta delle innovazioni tecnologiche. Si informa, si comunica su una molteplicità di argomenti tramite tweet e facebook. Soprattutto  sulla politica quotidiana. Sulla Tav, sulla chiusura dei porti e sul reddito di cittadinanza. Non sull’incombente stagnazione e possibile recessione. Di Maio parla di un nuovo boom economico e ha dubbi sull’autorevolezza della Banca d’Italia. Le sue previsioni sulla crescita del Pil non sarebbero esatte. Comunque sulla stessa linea della Banca d’Italia Bloomberg, Standard&Poor’s, Ocse e Fmi. La produzione industriale è in calo, come ha riferito l’lstat, e la Germania della Merkel è in affanno. Il suo Pil non andrà oltre l’1 per cento. Ancora una domanda. Se il modo di comunicare e informare sta cambiando quale ruolo assolveranno i giornalisti?

I giornalisti, oltre a rispettare l’articolo 2,della legge 69/63 e le Carte dei doveri per informare vanno, vedono e raccontano, ma debbono pure saper fare e far sapere unitamente alla regola delle tre “i”: indipendente, irriverente e indisponente. E’ cosi? Qualche dubbio esiste, specie se si fa riferimento a quanto tempo addietro ha affermato Paolo Mancini, docente di Sociologia della comunicazione presso la Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Perugia: il giornalismo italiano è incline ad identificarsi con un ruolo politico anziché sociale; i giornali mostrano di essere di opinione e non di informazione. La

riprova potrebbe essere cercata a Bruxelles, sede delle istituzioni dell’Unione europea. Qualche giornalista anziché essere terzo mostra in maniera palese di essere supporter di Antonio Tajani, presidente del Parlamento europeo, che ha un proprio staff che cura la sua immagine e le iniziative che intraprende. Una attività che nessun giornalista americano farebbe. Sono a favore degli amministrati e non degli amministratori. E’ stata creata persino una associazione, non riconosciuta dalle istituzioni giornalistiche italiane, per la difesa dell’UE, dimenticando che i dominus dell’informazione sono i professionisti. Il motivo? E’ incerto. Forse chi riteneva di possedere migliori capacità e qualità di altri. Forse la verità è un’altra.

 Gino Falleri


Torna alle notizie in home