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Attualità

La Vuelta si ferma: e allora lo sport, davanti a un genocidio, deve tacere?

di Alberto Filippi -


La Vuelta di Spagna non si è fermata per una caduta o per un guasto meccanico. Si è fermata perché un gruppo di manifestanti ha deciso che non si poteva continuare a pedalare come se nulla fosse, mentre a Gaza continua quello che ormai perfino le Nazioni Unite definiscono senza esitazioni: genocidio. Ed ecco lo scandalo: la politica spagnola ha applaudito, rarissimo segnale di coraggio. I vertici dello sport internazionale invece hanno storto il naso, invocando la solita litania della “neutralità dello sport”. Neutralità? Davvero? Ma quando mai lo sport è stato neutrale? Negli anni interi Paesi hanno boicottato le Olimpiadi in nome dei diritti civili, contro guerre e regimi sanguinari. Allora il boicottaggio era legittimo, addirittura nobile. Oggi invece – davanti a un genocidio certificato, con prove quotidiane sui giornali, in TV, sui social – lo sport dovrebbe tacere, farsi complice, non disturbare. La verità è che la “neutralità dello sport” è un alibi. Serve solo a tenere pulita la coscienza dei vertici e a proteggere gli affari, le sponsorizzazioni, le poltrone. Perché disturbare i padroni del mondo quando basta girarsi dall’altra parte e dire: “lo sport deve unire, non dividere”? Io non sono un fan delle proteste eccessive. Non amo quando gli atleti vengono trascinati dentro guerre politiche che non hanno scelto. Ma qui non parliamo di uno scontro ideologico: parliamo di un genocidio. E di fronte a un genocidio, chi ha una tribuna, chi ha visibilità, chi può accendere i riflettori ha il dovere morale di farlo. E allora sì, che siano i ciclisti, i calciatori, i tennisti a dire basta. Perché il loro silenzio pesa più delle parole dei politici. Perché ogni uomo, ogni sportivo, ogni spettatore ha il dovere di non essere complice. Lo sport non può e non deve restare neutrale. Perché la neutralità, quando di mezzo ci sono le fosse comuni, i bambini uccisi, le città rase al suolo, non è altro che un’altra forma di vergogna.


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