Labubu, il peluche che vale più dell’oro. Il caso globale che ha sfidato le regole del valore
C’è un piccolo mostriciattolo dai denti affilati, occhi spiritati e orecchie da coniglio che sta facendo impazzire mezzo mondo. Si chiama Labubu, e da fenomeno underground nato tra le nicchie del collezionismo asiatico è diventato una ossessione globale, un simbolo del desiderio contemporaneo che fonde nostalgia, esclusività e marketing d’alta scuola. In apparenza un semplice pupazzo, in realtà un caso studio da manuale di economia comportamentale, comunicazione strategica e, perché no, psicologia delle masse. Labubu non nasce da un cartone animato né da una grande produzione cinematografica. Non ha un franchise miliardario alle spalle, né una serie Netflix. Eppure i suoi blind box — piccole scatole misteriose vendute spesso a prezzi modici — si esauriscono in pochi minuti, generando code, rivendite a cifre esorbitanti e un mercato parallelo che funziona con le stesse regole dell’arte contemporanea e dell’alta moda. Non si tratta solo di pupazzi, ma di pezzi rari, edizioni limitate, varianti fantasma, drop improvvisi. E dietro tutto questo c’è un imprenditore (anzi, un sistema imprenditoriale) che ha fatto esattamente quello che ogni marchio sogna: creare valore percepito. Quello che Hermès fa con le sue borse Birkin, quello che Ferrari fa con le sue serie limitate, quello che Rolex fa con gli orologi introvabili: rendere il prodotto desiderabile non per ciò che è, ma per quanto è difficile da avere. Ecco allora che anche un oggetto di produzione seriale, apparentemente banale, diventa icona. Perché? Perché non lo trovi ovunque. Perché devi cercarlo, devi meritarlo, devi pagarlo caro — non solo in soldi, ma in tempo, in pazienza, in rete di contatti. Questo è marketing esperienziale, questo è posizionamento psicologico, questo è il cuore del capitalismo emozionale. Labubu è il risultato perfetto di un’equazione in cui l’oggetto reale vale molto meno del suo prezzo di mercato, ma infinitamente di più per chi lo desidera. Ed è proprio qui il punto. Il valore oggi non risiede tanto nella materia, quanto nella narrazione. E se sai costruire una buona storia attorno a un oggetto, puoi trasformarlo in moneta. Il paragone con Hermès, Ferrari, Lamborghini non è forzato. Sono mondi lontanissimi in termini di prezzo e prestigio, ma usano gli stessi strumenti: rarità, esclusività, accesso limitato, storytelling selettivo. Tutti sanno fare un pupazzo, una borsa, un’auto. Pochi sanno farli desiderare. E allora onore a chi ha saputo creare un impero giocando con le regole dell’immaginario collettivo. Onore a chi ha capito che oggi il valore è emozione, attesa, community. Ma attenzione ai collezionisti: se l’economia della passione può diventare investimento, l’esperienza insegna che ciò che oggi vale mille, domani può tornare a valere dieci. I mercati del desiderio sono instabili per definizione. Le mode passano, le tendenze si spostano, l’entusiasmo si affievolisce. Labubu, come ogni oggetto legato al gusto del momento, potrebbe un giorno finire in un cassetto, dimenticato. Ma per ora, godiamoci il viaggio. Perché anche se domani non varrà nulla, oggi regala sorriso, senso di appartenenza, un pizzico di magia. E questo, in fondo, non ha prezzo.
Torna alle notizie in home