Cultura & Spettacolo

L’Accademia bizantina e il “suono eccitante” della musica barocca

di Redazione -


Grazie ai numerosi articoli elogiativi comparsi sulle riviste specializzate “Gramophone” e “Diapason”, l’Accademia bizantina diretta da Ottavio Dantone ha raggiunto l’apogeo della sua fama tra i melomani classici. E l’uscita dei Concerti grossi opera 3 e opera 6 di Händel (4 cd Hdb Sonus, premiato come disco del mese da “Diapason”) ha confermato il ruolo rilevante che ha raggiunto fra gli interpreti della musica barocca. L’ensemble, di stanza a Ravenna, ha compiuto quarant’anni. Era nato come orchestra giovanile, ma quando ne prese il comando Dantone optò per gli strumenti originali, antichi, ed è diventato un’orchestra barocca. Il suo impegno è stato di far riconoscere alla gente il grande repertorio di quel periodo, di farlo divenire riconoscibile, familiare. Si tratta di un’accademia in tutti i sensi: gli strumentisti hanno percorso un itinerario che è partito da un approccio scientifico alla musica barocca, che in qualche maniera rivisitasse il repertorio che si era consolidato con i nobili interpreti del passato, dai Musici ai Solisti veneti. Per il pubblico di quell’epoca era normale sentire le “Quattro stagioni” di Vivaldi con un certo stile. Non ne esistevano altri. Il pubblico di oggi ormai distingue i progressivi modi di suonare, parecchio mutati da quelli di impostazione ottocentesca utilizzati in passato, e dimostra di apprezzarli. Nel paragonare con l’ascolto l’esecuzione dell’Accademia bizantina dei Dodici concerti opera 6 di Händel a quelle storiche di Karl Richter o Herbert von Karajan ci sarebbe da rimanere sconcertati. I primi hanno un suono snello, vivace, quanto i secondi robusto, maestoso. Così i tempi adottati con i connessi abbellimenti: più veloci e liberi i primi, più lenti, sistematici e prevedibili i secondi. Händel compose questi capolavori nell’autunno del 1739 in poco più di un mese, un tempo sorprendemente breve, emulando i Concerti grossi di Corelli dai quali fu molto influenzato nel periodo in cui operò in Italia. L’orchestrazione è la stessa: due violini e un violoncello solisti che dialogano con un’orchestra più ampia. In alcuni al primo violino solista è affidato un ruolo dominante, in stile vivaldiano, mentre altri sviluppano un più complesso e strutturato contrappunto d’indole germanica. Il trio concertistico formato dal concertmaster Alessandro Tampieri, dalla violinista Ana Liz Ojeda, dal violoncellista Emmanuel Jacques, con Dantone alla direzione e al clavicembalo, apporta una spontaneità giocosa, quasi jazzistica a questi brani, vivacizzati da attacchi taglienti e da estroversi ripieni orchestrali che animano le fughe saldamente sostenute. Non casualmente la cantante Cecilia Bartoli raccontava, in un’intervista a “L’Espresso”, che oggi la musica barocca si ascolta molto di più, rispetto al passato. Possiamo parlare certamente di revival, anche perché due delle fondamentali caratteristiche di quel repertorio, la follia e l’improvvisazione, appartengono senz’altro alla musica dei nostri giorni. Registrato presso la chiesa di San Girolamo a Bagnocavallo, l’album dell’Accademia bizantina dal titolo “The exciting sound of baroque music” include alcune ponderate osservazioni critiche del musicologo Bernardo Ticci, secondo il quale questi concerti rappresentano uno straordinario esempio di fusione dello stile francese con l’agile e fluido stile italiano. Ben si combinano con quelle di William Henry Hadow, che confrontavano Händel con l’altro grande compositore della musica barocca, Johann Sebastian Bach: «Di regola la melodia di Händell è la più diretta, quella di Bach la più riflessiva: una più interessata all’immediata presentazione del suo tema, l’altra alla meditazione del suo contenuto». Händel pensa armonicamente e usa la sua maestria nel contrappunto per rilevare e decorare uno schema concepito in termini armonici; Bach pensa contrappuntisticamente e la sua ricchezza di colore armonico sorge in gran parte dal gioco interno e mobile delle parti.

Riccardo Lenzi


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