L’Arabesco del Mes
Tommaso Cerno
di TOMMASO CERNO
Per dirla con Ennio Flaiano in Italia la linea più breve tra due punti è l’arabesco. E a questo arabesco del Mes stiamo assistendo da giorni. Finirà così: l’Italia incasserà la variazione del patto di stabilità e sottoscriverà lo strumento salva Stati. Il voto sarà quello del governo e del Pd. Con dei distinguo. A destra diranno che grazie alla trattativa serrata di Meloni l’Italia esce dall’incubo e può ricominciare a investire con più libertà in un momento in cui il pubblico gioca un ruolo chiave sul Pil e lo sviluppo dei prossimi anni.
La sinistra dirà che in campagna elettorale Giorgia ha detto Alfa e una volta al governo ha fatto Omega e invocherà il grande classico del senso di responsabilità su cui si basano gli ultimi 10 anni di condotta politica della sinistra. La verità sta nel mezzo. Non siamo un Paese in grado di dire un no definitivo perché abbiamo un debito pubblico che fa paura come le profondità dell’oceano attorno al relitto del Titanic e può provocare un’implosione della nostra economia drammatica come è stata quella del sommergibile disperso.
Dall’altra parte è anche vero che il governo ha avviato una trattativa con l’Europa su alcuni temi chiave, che è uscito dai binari classici dell’obbedienza supina, e ha smentito i gufi che alla vigilia dell’insediamento di Meloni a Palazzo Chigi parlavano di un muro europeo che avrebbe fatto male all’Italia. Sarà che a Bruxelles hanno paura delle europee del prossimo anno che potrebbero, sondaggi alla mano, portare alla guida della Commissione una maggioranza inedita di centrodestra.
Sarà che con l’Italia devono comunque trattare ma Ursula von der Leyen dopo 4 anni da maestrina sta mostrando un volto diverso, dando credito al governo italiano come ha dimostrato la missione in Tunisia organizzata da Roma e allargata poi ai vertici dell’Unione. La Lega di Salvini rischia che il tema del Mes diventi un ulteriore elemento di frattura fra i grandi fan del Capitano e i cosiddetti governisti, Giorgetti, Zaia, Fedriga tutta gente che si era fregiata di questo titolo addirittura con Draghi, quando in maggioranza c’erano Pd e 5 stelle, figuriamoci se metterebbe in discussione la linea dei padani adesso che al governo ci stanno con la destra di Meloni.
Salvini lo sa bene e sta caricando i temi del fare, dalle infrastrutture fino alla stretta sul Codice della strada, proprio per evitare che il Carroccio deragli sulla linea dei Fratelli d’Italia, che nella realtà tanto fratelli non sono. Vedremo come Elly Schlein si giocherà il passaggio dentro questa strettoia politica, perché anche a sinistra le divisioni sul Mes sono profonde. Conte non ne vuole sentire parlare, anzi come già fatto con il reddito di cittadinanza userà il Mes per distinguersi.
Così come in quella sinistra extra parlamentare che scende in piazza oggi per la pace quella sigla è sinonimo di indebitamento, cessione di sovranità, cappio al collo dell’Italia sempre più stretto da Bruxelles. L’unica strada di allargamento torna a essere quella del Terzo Polo di Matteo Renzi, che pronunciato in casa Pd suona persino provocatorio. Il problema della sinistra è sempre lo stesso, insomma: non appena nel governo si apre una frattura e tutti sembrano pronti ad infilarcisi dentro, si scopre che l’Ammiraglia dell’opposizione ha più falle della maggioranza e la gara diventa a chi affonda più lentamente.
La chiave sarà trovare una formula per non dare anche stavolta questa impressione. E la regola aurea che utilizzava l’Ulivo ai tempi di Romano Prodi, quando la sinistra vinceva nelle urne, era quella che il partito di maggioranza relativa faceva sempre il passo di lato. Magari faceva arrabbiare, ma funzionava.
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