Politica

L’aria sinistra del grillocontismo: “Duri all’opposizione contro la destra”

di Domenico Pecile -


Ritorno al passato, anzi, alle origini. Ma con una decisa connotazione ideologica che veniva tassativamente rifiutata agli albori del Movimento. Nel corso del primo vaffa- day, a Bologna l’8 settembre del 2007, Beppe Grillo tenne a precisare che i Pentastellati non avrebbero fatto riferimento a ideologie. Né destra, né sinistra, dunque, ma soltanto idee, aveva tuonato l’ex comico. Bene, 15 anni dopo, il M5s ritorna al punto di partenza per riscoprirsi forza di opposizione. Ma opposizione dura, connotata, schierata, anti-governativa, che ama la contestazione, che torna a inseguire il fascino della piazza, che si colloca in maniera netta a favore dei ceti meno abbienti, che difende a spada tratta il reddito di cittadinanza, che si dichiara pacifista, che rinnega Draghi, che con la Meloni non concederà alcuna apertura di credito.
Opposizione di Sinistra decisa a sfidare su questo terreno il Partito Democratico. Ed è proprio su questo braccio di ferro che si giocheranno le sorti dell’opposizione al governo di Centro sinistra e il futuro di uno schieramento che per diventare alternativo alla Meloni dovrà far dialogare forze che sulla carta paiono idiosincrasiche. Calenda, Renzi, Conte, Letta: nulla li accomuna. Non c’è feeling. Non c’è dialogo. Non c’è voglia di sparigliare le carte e mettersi attorno a un tavolo. Ma in politica tutto è possibile: il centro destra docet. Uno dei capolavori di diplomazia ascrivibile a Berlusconi fu infatti quello di mettere assieme Fini e Bossi convincendoli a scrollarsi di dosso diffidenze, ostracismi e rancori reciproci che più volte erano sconfinati anche nell’odio politico. Conte ha fretta. E insegue un progetto altro rispetto a una possibile rassemblement del Centrosinistra. E lo vuole realizzare entro il 2024, quando si voterà per il rinnovo del Parlamento europeo. Desidera cioè sfilare a Letta o a chi lo sostituirà dopo il congresso la leadership della Sinistra.
I primi segnali li ha lanciati proprio durante il battesimo di questa XIX legislatura: nessuna intesa per un coordinamento delle forze di opposizione e anzi concorrenza alzo zero con il Pd dal quale ha già preso le distanze durante le repliche alla Meloni quando ha anticipato che la sua opposizione sarà implacabile e intransigente, aggettivi decisamente più ruvidi, più aspri rispetto a quelli usati da Letta. Concorrenza con il Pd a tutto ondo, dunque. Senza sconto alcuno. Anche perché per Conte il governo Meloni è la riproposizione e la logica continuità di quello che è stato il governo Draghi a trazione dem. L’ex premier, tra l’altro, annusa il momento, sente il vento in poppa, scruta i primi sondaggi elettorali post-elezioni che lo danno ancora in crescita e che lo collocano ormai a ridosso di un Pd in arretramento, guarda con soddisfazione alle fibrillazioni dei dem alla vigilia di un congresso dove il partito tenterà di ritrovare un’anima. Il Pd è pienamente consapevole che soprattutto una parte della base del partito potrebbe guardare con una certa attenzione al richiamo Pentastellato e quindi a un possibile travaso di voti. Più difficile invece – come spiega l’ex senatore e attuale componente della Direzione nazionale del Pd – che si possa assistere a cambi di casacca anche perché quelli ritenuti più vicini a Conte avrebbero il problema di essere quelli cui lui sfilerebbe l’elettorato. Opposizione dura e pura, allora, da attuare sposando i temi più cari alla Sinistra e all’arcipelago pacifista che ruota soprattutto attorno al mondo cattolico. Ieri, nel corso di un talk televisivo, Conte ha ricordato due cose per bocciare senza se e senza me le dichiarazione della nuova premier.
Primo: “La Meloni ha evitato di dire che la maggior parte dei giovani hanno un contratto da precari, contratti che ammontano a circa 6 milioni e 300mila e che possono durare anche soltanto una giornata”. Secondo: “La premier non ha mai parlato di pace e di uscita dal conflitto. Con lei ci sarà dunque una corsa al riarmo”, nel mentre Letta su quest’ultimo tema aveva preannunciato una certa disponibilità ad effettuare sull’Ucraina scelte senza timore assieme alla Meloni. Ma Conte vuole andare anche oltre. E desidera candidarsi a diventare il Mélenchon italiano. Non a caso per la chiusura della sua campagna elettorale in piazza Santi apostoli avrebbe voluto accanto a sé il nuovo leader francese con il quale condivide linea e obiettivi politici. L’altro ieri, Bobo Craxi, pur riconoscendo la necessità di preparare l’alternativa di Governo mettendo assieme le forze che vanno dai centristi di Renzi e Calenda fino a Conte, aveva però messo in guardia sul fatto che a guidare questo campo largo possa essere l’ex premier dei 5s perché si tratterebbe di contrapporre un populista di sinistra alla premier, populista di destra. Di fronte alla baldanza dei Pentastellati il Pd tace o dice davvero poco.
Anche perché oltre che alzare le barricate contro le sirene dei 5s deve anche evitare che i moderati del partito – l’anima più centrista che proviene dagli ex Margherita – possano essere tentati di fare il salto verso Azione, ipotesi questa caldeggiata dallo stesso Conte che vede di buon occhio ogni strada politica che porta allo svuotamento elettorale del Pd. I dem, insomma, si troverebbero a difendere il loro fortino da un doppio attacco. E uno dei sogni di Conte è anche quello che il lavoro al fianco dei dem porti il partito a fare la stessa fine dei socialisti francesi.


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