Politica

“L’autonomia non basta sogno gli Stati Uniti d’Italia”

di Ivano Tolettini -

MANUEL VESCOVI LEGA


“L’obiettivo è uno Stato a impianto federalista, ma nell’attesa, consapevole della fase storica che viviamo, ben venga anche la riforma fatta pervenire entro fine anno al Consiglio dei ministri sull’autonomia differenziata dal ministro Roberto Calderoli. Mi auguro sia la volta buona”. L’imprenditore 52enne Manuel Vescovi (nella foto), laurea in giurisprudenza, senatore della Lega fino allo scorso settembre, tra gli artefici come segretario regionale del successo del Carroccio e del centrodestra in Toscana con la conquista di sei capoluoghi di provincia tra il 2015 e il 2018, ha scritto il primo libro sul federalismo a 25 anni, mentre il secondo nel 2011. L’ultimo l’anno scorso, dal titolo emblematico “Stati Uniti d’Italia – obiettivo 2028”. In otto punti l’autore scolpisce il verbo federalista in chiave italiana: a cominciare da presidenzialismo, federalismo e meritocrazia. Poi si va dall’imprenditività, con il premio del merito sia nel pubblico che nel privato, alla promozione della cultura; dalla semplificazione burocratica alla riforma della giustizia, proseguendo con la riforma tributaria e quella della politica estera nel Mediterraneo. “Un programma politico serio con una visione di società e la sua traduzione in riforme che conducano verso obiettivi stabiliti con chiarezza, precisione e determinazione”, scrive Paolo Del Debbio nella prefazione.

Vescovi, tanti parlamentari e amministratori locali del Sud temono che la svolta autonomista propugnata da Calderoli possa scavare un ulteriore solco tra Nord e Sud.
Mettiamo le carte in tavola. Se devo dare un giudizio l’autonomia da 1 a 10 mi piace 6. Io sono un federalista. C’è una differenza abissale, anche se per molti è un tecnicismo, ma i due termini non sono sinonimi”.

Qual è la differenza?
Lo so che è più facile andare avanti a suon di slogan, poi bisogne vedere il risultato. La parola federalismo porta a regioni che sono federate e a uno Stato federale. E cambia il principio di fiscalità. Mentre con l’autonomia si modifica la forma dello Stato ed è più semplice perché lo prevede già la Costituzione. La riforma del Titolo V risale al 2001. Dai le 23 deleghe alle regioni che vogliono averle; dai più soldi in base alla spesa storica o ai fabbisogni standard, garantendo il livello di servizio minimo uguale per tutti gli italiani con i Lep e se risparmiano possono investire in altre ambiti. Si fanno così delle differenze tra regioni. Alla Calabria l’autonomia differenziata del veneto non cambia nulla.

Una regione può anche non prenderle le deleghe.
Appunto, non c’è alcun obbligo. Ogni regione decidere rimanere così com’è oppure modificare la propria forma. Supponiamo che il Veneto abbia 23 deleghe e lo Stato per fornire qui servizi spende 100, dunque trasferisce questo ammontare a Venezia. Se poi ha un surplus di 20 li spende altrove.

Torniamo al federalismo.
Cambia il principio. Nel senso che attualmente la regione versa il denaro a Roma che poi redistribuisce secondo determinati meccanismi piuttosto complessi. Io, invece, dico partiamo dalla fiscalità e sono supportato da una relazione della Cgia di Mestre che avvalora le poste della riforma che prospetto perché è sostenibile. Solo un folle può pensare che seminando allo stesso modo si arriva a risultati diversi. Se al Sud continua a fare come adesso il risultato non cambia. È molto difficile.

Allora?
Perciò tre bollettini è per tre imposte da pagare. Tassa al Comune, allo Stato membro che sarebbe la regione e tassa federale. Quest’ultima è al massimo il 10%, poi c’è la tassa statale (regionale) fino al 15% e quella al Comune fino a un massimo del 5%. Con una fiscalità massima in Costituzione del 30%. Gli stati membri possono farsi concorrenza tra di loro con aliquote fiscali diverse per essere più attrattivi. Allora gli amministratori sarebbero più responsabili. Perché adesso il sindaco dice ai cittadini che non ha i soldi per le strade. La regione dice che Roma non li manda e il cittadino non sa di chi è la responsabilità dell’inerzia. A quel punto faccio tre casse e c’è la responsabilità diretta degli amministratori.

La riforma Calderoli si muove in ottica autonomista.
A Costituzione vigente lo Stato attribuisce a chi vuole le deleghe a costi invariati. Partendo dal presupposto che una regione non è obbligata a prendere l’autonomia. Tra l’altro viene alla ribalta anche il Presidenzialismo.

In che senso?
Per farlo devi cambiare la Costituzione. Io a livello politico direi visto che la premier Meloni vuole il presidenzialismo, e due terzi degli italiani lo vogliono. Perché con uno stato presidenziale ci dev’essere del bilanciamento dei poteri con un sistema federalista degli stati membri. Mentre l’autonomia essendo una legge ordinaria può essere modificata ogni volta al cambio di maggioranza. Visto che come Paese vogliamo diventare presidenzialisti, sul modello degli Stati Uniti d’America, con il presidente che è anche capo del governo, sono necessari bilanciamenti tra i poteri.

Anche la Lega è passata dal federalismo all’autonomia differenziata.
Meglio l’autonomia differenziata di nulla. Comunque le riforme prioritarie in senso federalista sono tre: presidenzialismo, federalismo e meritocrazia, che metto in Costituzione. In tutto sono otto riforme.

Meritocrazia in Costituzione?
È la contrapposizione alla raccomandazione. Tutte le carriere della Pubblica amministrazione devono essere legate a obiettivi e produttività. Con il conseguente premio di merito. Altrimenti succede come in questi giorni che i finlandesi dicono che l’Italia è un paese dove venire in vacanza, ma non a studiare.

Le resistenze al cambiamento sono culturali e sono fortissime.
Non c’è dubbio. Comprensibili da un certo punto di vista, ma bisogna essere schietti per chi ha votato centrodestra. La maggioranza guidata da Giorgia Meloni, investita da una piena legittimità popolare, ha i numeri per fare le auspicate riforme del Paese promesse agli elettori. Adesso è veramente una questione di volontà politica. Certo, la mia posizione è più federalista che autonomista, ma il disegno di legge Calderoli è un passo in avanti concreto verso questa direzione. Non è la forma stato del Paese perfetto che vorrei e che secondo me farebbe fare un concreto balzo in avanti all’Italia intera, da Nord a Sud. Senza spaccature, ma facendo crescere le varie aree, con una redistribuzione delle risorse migliore di quella attuale, dove le differenze misurate dagli indicatori macroeconomici sono assai sensibili e tendono a crescere nel tempo. Alla faccia di chi, e penso ai tanti governatori e sindaci del Sud, urla ogni giorno che tutto deve rimanere così, perché a loro avviso l’autonomia è una sorta di babau.

Dunque, Vescovi, ricapitolando quale sarebbe questo Paese a suo avviso perfetto per le sfide del futuro?
Quello perfetto, ripeto, sarebbe una nazione a impianto presidenziale, con un assetto federale e meritocratico.


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