Cronaca

Lavoro, arresti per caporalato in provincia di Bari

di Redazione -

Caporalato in agricoltura


L’indagine “Caporalis”, condotta dai Carabinieri di Bari a partire dall’estate 2021, ha oggi portato all’arresto di nei confronti di due persone, un uomo e una donna, ritenute responsabili di caporalato, ovvero dei reati di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro. L’attività investigativa, concentrata nei comuni di Cassano Muge, Turi, Acquaviva delle Fonti e Rutigliano, nella provincia di Bari, ha consentito di accertare l’esistenza di una struttura ben articolata, composta da 2 “caporali” e 12 titolari di 10 azienda, che reclutavano e impiegavano manodopera in violazione delle norme di sicurezza, in concorso tra loro. Oltre ai due caporali tratti in arresto, nel registro degli indagati sono finiti anche altre 12 persone che risultano indagati per i medesimi reati. Da qui l’accusa di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro. Le indagini hanno preso il via a seguito della denuncia presentata da una donna oggetto di sfruttamento che ha fatto partire i controlli con il coinvolgimento dell’Ispettorato del Lavoro. Le verifiche hanno consentito di individuare almeno 68 lavoratori in nero presso 10 aziende agricole sottoposti a sfruttamento complice la situazione di necessità in cui vessavano, il che li ha indotti a sottostare a una retribuzione assolutamente sproporzionata in relazione alla qualità e alla quantità del lavoro prestato. Un evidente caso di caporalato. Le prestazioni di lavoro venivano retribuite solamente 4,60 euro l’ora, un importo pari a meno della metà di quello previsto dalla legge. La circostanza è stata riscontrata a seguito del sequestro presso le aziende dove i lavoratori sfruttati prestavano la propria attività di libri mastro sui quali venivano riportate giornate e ore di lavoro e tutto quanto era necessario a tenere la contabilità dell’attività illecita.
Inoltre, è stato possibile appurare che i lavoratori erano soggetti anche a gravi minacce da parte dei caporali che sfacevano ripetutamente sfoggio della loro appartenenza a ben noti clan afferenti alla malavita organizzata del capoluogo pugliese.


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