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Le famiglie risparmiano di più per la casa e i figli. Ma non cresciamo, con molti Neet e poche donne

di Angelo Vitale -


Le famiglie italiane alla sfida dell’inflazione “inattesa”, così la definisce l’indagine di Intesa Sanpaolo con il Centro Einaudi. Il 95 per cento delle famiglie dichiara di essere finanziariamente indipendente, in aumento di 2 punti sul 2022. A conferma che, malgrado le difficoltà dello scenario generale, l’autonomia reddituale resiste. E la quota delle famiglie che riescono a risparmiare si porta sui valori massimi del periodo antecedente all’emergenza pandemica (54,7% contro il 53,5% del 2022). Sale anche la percentuale media di reddito risparmiata (12,6%).

Tra le motivazioni del risparmio, risaltano la casa (30%) e i figli (16%) mentre solo il 5% degli intervistati dichiara di aver accantonato risorse per far fronte all’aumento dei prezzi. Per un terzo del campione, addirittura, il risparmio è una misura genericamente precauzionale, non caratterizzata da un’intenzione precisa. Tra gli investimenti finanziari salgono le obbligazioni 28%), quelli alternativi sono ancora dominati dall’oro (23%).

Ma che inflazione conoscono, gli italiani? Gregorio De Felice, chief economist dell’istituto, a proposito di questo elemento con il quale dopo anni torniamo a “fare i conti” rileva che “le famiglie non hanno venduto precipitosamente le loro attività mobiliari e non si sono fatte prendere dal panico. Fattore positivo, in termini di maturità finanziaria, pur in un quadro di bassa alfabetizzazione” su questa materia. Solo il 38%, infatti, sa dare una definizione corretta dell’inflazione: oltre un quarto la confonde con il livello dei prezzi, qualcuno con il deprezzamento della valuta, altri con lo scostamento dal target della Banca Centrale Europea.

A conferma di questa difficoltà di orientamento, oltre un terzo circa degli intervistati indica la detenzione di liquidità e obbligazioni a tasso fisso tra i comportamenti più idonei da tenere nel caso di inflazione. Il 30% si rifugia nel tradizionale “mattone”, poco più del 10% nell’oro e in altri “beni rifugio”.

Educazione finanziaria cercasi, insomma. Considerato pure che “per oltre trent’anni, con l’ingresso del nostro Paese nell’Unione Monetaria, l’inflazione non è più rientrata tra le preoccupazioni degli italiani: ciò spiega la reazione prudente ed incerta nelle scelte di investimento e di risparmio”.

Anche perché – non è una novità – “il rialzo dei prezzi ha eroso il potere d’acquisto delle famiglie italiane. Benché la flessione dei redditi reali sia stata in parte ammortizzata dalle azioni di sostegno messe in campo dal governo in particolare a favore delle fasce più deboli – commenta De Felice -, si registra una flessione di circa 8 punti dell’indice di sufficienza del reddito, calcolato come differenza tra chi ritiene le proprie entrate più che sufficienti o sufficienti per le necessità della vita quotidiana e chi le reputa invece insufficienti o del tutto insufficienti”. Ne soffrono gli anziani, ma pure i lavoratori meno qualificati e gli italiani meno acculturati. Meno, laureati, imprenditori, liberi professionisti. “L’impennata dei prezzi – sottolinea De Felice – ha dunque peggiorato la distribuzione dei redditi, svantaggiando i più fragili”.

Per fare un’economia più produttiva, inclusiva e resiliente a nuove possibili crisi, la ricetta proposta dall’indagine è “liberare le potenzialità ancora inespresse”. Ancora alta l’incidenza dei Neet, i giovani con non lavorano o studiano. poco sotto il 20%, 7 punti in più della media Ue. E siamo ultimi nella classifica europea per tasso di attività femminile. “È un peccato, sappiamo che l’Italia può e deve fare molto
di più. Solo allineare alla media europea il tasso di partecipazione delle donne al mercato del lavoro significherebbe poter disporre di 2,4 milioni di forze di lavoro in più per il Paese”.


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