Cultura & Spettacolo

Le “leggende” della Roma

di Redazione -


La “leggenda” della Roma comincia con Zi’ Checco e la Sora Angelina, custodi di Campo Testaccio. L’uno burbero e abbondante, sceglie la divisa più adatta per i ragazzi che devono effettuare il primo provino; l’altra, solo apparentemente fragile, con una spugna strofina la schiena dei giocatori che hanno vestito la maglia con cuore, come una madre. Il campo di via Zabaglia era stato inaugurato il 3 novembre 1929. La capacità è per 20.000 spettatori. E’ nello stile degli stadi anglosassoni. Le tribune di legno sono dipinte di giallo ocra e rosso pompeiano. Quando i giocatori escono dal sottopassaggio, un boato di 40.000 piedi battono sulle pedane di legno, in un crescendo di entusiasmo. 161 gare giocate: 103 vittorie, 32 pareggi, 26 sconfitte; 337 reti segnate e 111 subite. Questi i numeri delle gare ufficiali disputate, 53 quelle amichevoli ed europee con 47 vittorie, 2 pareggi e 4 sconfitte, 225 reti segnate e 62 subite. Così comincia la storia della Roma, ricostruita da Valeria Biotti, nel libro “Le leggende della Roma” (Ed. Diarkos).

L’autrice si chiede: “Cosa rende una leggenda giallorossa davvero leggendaria?”. La classe certo. Ma anche l’amore dato e ricevuto per la maglia. Quello romanista è un mondo fatto di valori e d’appartenenza (dal 1927 a oggi, “La Roma non si discute, si ama”).

Le “leggende” della Roma, in queste pagine, sono i grandi campioni: da Fulvio Bernardini, Attilio Ferraris IV, Amedeo Amadei a Bruno Conti, Gabriel Omar Batistuta, Daniele De Rossi, Francesco Totti (“La più grande leggenda giallorossa di tutti i tempi”). Agostino Di Bartolomei ha regalato – annota Valeria Biotti – a chi lo ha amato, una versione di Capitano e di leader (silenzioso, concreto, fuori dell’ordinario) del tutto nuova, per molti versi anticonvenzionale. Eppure, col suo silenzio ha sempre detto mille cose. Quelle che ritroviamo nelle parole di Daniele De Rossi: “Di Bartolomei ha significato tutto quello che da bambino volevo diventare”.

Di Roberto Pruzzo, Gianni Brera ricordava che era ligure di razza nordica: “gatto sornione, abulico e freddo quanto basta a intuire d’acchito quando serve  prodigarsi su una palla e quando no. Giuseppe Giannini, per tutti e per la storia, resta un grande “Capitano”. Francesco Totti, per Gigi Riva, è stato un fenomeno, un giocatore raro: “Sembra quasi che, quando è nato, il Padreterno gli abbia detto: Vai giù, gioca a pallone e basta. E lui ha fatto quello che gli è stato ordinato”.

Tra le “leggende” anche Rodolfo Volk, per tutti e per la storia “Sciabbolone”. Per ciò che mostrava in campo. Il tifoso, con la pronuncia all’amatriciana, lo chiamava “Vorche”, poi guardandolo nella sua imponenza, con i capelli biondi, “Sigghefrido”. Erano i tempi del Campo Testaccio. Tanti i record che collezionò. Ma quello che ai romanisti lo rese più caro fu il gol al derby, allo stadio della Rondinella: il primo derby della storia giocato fuori casa. 

In tempi più recenti troviamo le “leggende straniere” di Vincent Candela (più romano dei romani), di Marcos “Pendolino” Cafu (una spina nel fianco avversario), di Rudi Voller (“semplicemente fortissimo”), di Roberto Falćao e Alcides Ghiggia, un campione che ha interpretato il ruolo d’ala come “un attore sulla scena: da grande protagonista”, disegnando dribbling, fughe, finte.

Tra le “leggende” ricordate, una è particolare, quella di Angelino Cerreti, lo storico massaggiatore: “Una pietra angolare della Roma, fin dalla sua fondazione”, ricorda Valeria Biotti. “Maestro di vita”, “padre” sono solo alcune delle espressioni con cui lo ricordano i giocatori a cui ha restituito il campo e la speranza, dopo infortuni importanti.

Valeria Biotti, giornalista, sociologa, speaker radiofonica, ha al suo attivo collaborazioni con diverse testate. Scrive sul “Corriere dello Sport” e conduce una trasmissione quotidiana sulla Roma.

red


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