LIBERALMENTE CORRETTO Le radici dell’intolleranza
Autorevoli esponenti della sinistra al caviale hanno commentato l’uccisione di Charlie Kirk con espressioni del tipo “se l’è cercata”. Ovviamente non hanno espresso plauso e solidarietà nei confronti dell’omicida, ci mancherebbe; ma hanno comunque tenuto a sottolineare che le posizioni politiche della vittima di per sé erano “provocatorie”. Dunque la mano omicida, in quanto “provocata” da chi cercava guai, non ha fatto giustizia, ma pressappoco. Si è trattato di un colpevole eccesso. L’evidente sottinteso è che il male sta dalla parte di Kirk, il bene dalla parte opposta. Le posizioni politiche di Kirk non sono legittime come le altre, bensì segni di aberrazione, espressioni di pensiero scorretto. Il “politicamente corretto”, insidiato dalle provocazioni di Kirk, ha reagito male; si è macchiato di colpa, attenuata e pur sempre colpa; ma ciò nulla toglie alle reiterate scorrettezze del provocatore. È inutile aggiungere che codesti arbitri della correttezza si ergono a paladini della tolleranza e del buonismo. Probabilmente lo fanno in buona fede, non si rendono conto che le radici dell’intolleranza riposano proprio nel loro pensiero e retropensiero. Quando la linea di confine tra etica e politica diventa confusa e magari evanescente, il programma di una parte non solo è politicamente opportuno, ma si identifica col bene; e quello della parte opposta non solo inopportuno, ma si identifica col male. S’intende che tollerare il male non è giusto, cosicché è proprio il sentimento di “giustizia” a suggerire l’intolleranza. La malintesa giustizia dei giustizialisti è la prima radice dell’intolleranza. Ma non la sola. Tutti i socialismi-collettivismi del passato e del presente le offrono buona e ospitale compagnia. La versione nazionalista dell’oppressione “sociale”, nazista e fascista, si è spinta fino al punto di negare del tutto la distinzione tra etica e politica, confluenti nella summa teologica dello “Stato etico”. La versione comunista ha fatto coincidere il bene con la dittatura del proletariato, realizzato per il tramite della sua avanguardia (i vari PC: PCUS, PCC, PCI etc.). Entrambe le versioni hanno giustificato l’oppressione dell’individuo da parte della collettività, nazione o classe che fosse, personificata nel Partito, in nome del Bene comune. Nel ventunesimo secolo, secondo una frettolosa e ingenua lettura delle vicende geopolitiche, ci siamo definitivamente liberati di quei regimi. La verità è ben altra: dittature oppressive e liberticide sopravvivono in tante parti del mondo; in occidente le radici ideologiche dell’intolleranza si sono riprodotte sotto altre sembianze e attecchiscono nel pensiero unico, politicamente corretto, commisto di etica e politica. Al fondo c’è sempre la “presunzione fatale” (von Hayek dixit) di chi ritiene di conoscere i destini dell’umanità e indirizzare il corso della storia. Per raggiungere la meta, i seguaci del Bene devono assicurarsi la collaborazione o almeno l’acquiescenza di tutti. C’è una sola strada per raggiungerla e dunque tutti devono adeguarsi. Se taluno non vuole omologare la sua coscienza morale ai dettati del Bene, almeno deve avere l’intelligenza di tacere. I modelli comportamentali socialmente accettati consistono esclusivamente nella pedissequa osservanza del Verbo “politicamente corretto”. Ufficialmente dissentire è un diritto, ma la manifestazione del dissenso è additata al ludibrio della piazza o silenziata del tutto. Se poi l’ostinato dissidente “politicamente scorretto” insiste troppo, siamo alla palese provocazione; il che non giustifica la reazione omicida, ci mancherebbe, ma la innesca. Se qualcuno “se l’è cercata”, vuol dire che “poteva evitare” e meglio avrebbe fatto ad evitare, ossia avrebbe dovuto tacere. In pratica, codesti paladini della tolleranza invitano chi non la pensa come loro a silenziarsi da soli, prima che ci pensi una pistola omicida. Anche gli illustri accademici, per coincidenza simpatizzanti della medesima sinistra al caviale, che impedirono a Benedetto XVI di parlare all’Università “La Sapienza”, si ritenevano tolleranti ed esprimevano la loro tolleranza, inibendo al Papa l’esercizio del diritto di parola.
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