Economia

Le strategie dell’Eni e il Piano Mattei tutti i dettagli di un affare da 8 miliardi

di Cristiana Flaminio -


La presenza di Eni in Nordafrica è più di una costante. In particolare in Libia, l’azienda lavora già dal 1959, già dai tempi eroici del fondatore Enrico Mattei, alla cui figura oggi s’ispira la nuova strategia energetica (e geopolitica) varata dal governo guidato da Giorgia Meloni. L’accordo che domani verrà siglato a Tripoli tra l’ad Descalzi e il presidente della National Oil Corporation libica, Fahat Omar Bengdara, consolida un asse antico.
Secondo le informazioni che lo stesso Bengdara ha diffuso alla tv libica Al Masar, il deal con Eni riguarderebbe due giacimenti di gas offshore al largo delle coste del Mediterraneo. Lo sfruttamento dei due nuovi siti garantirebbe approvvigionamenti da ben 24 milioni di metri cubi al giorno a fronte di un investimento, da parte del Cane a Sei Zampe, pari a circa otto miliardi di euro. Si tratterebbe di un consolidamento e di un importante salto di qualità per la cooperazione tra Roma e Tripoli. Nel 2021, Eni, in joint venture con Noc per il tramite della società Mellitah Oil & Gas, ha prodotto in Libia ben 5,6 miliardi di metri cubi di gas a cui vanno aggiunti 24 milioni di barili di petrolio e condensati e 62 milioni di barili di altri idrocarburi. Il fiore all’occhiello, più che nella produzione, sta nei mezzi utilizzati per collegare, energeticamente, l’Italia con il Nordafrica. Il Green Stream è il gasdotto che unisce i giacimenti libici a Gela, in Sicilia, da dove i prodotti vengono poi stoccati e smistati. Il Green Stream è parte del Western Libya Gas System e “parte” dalla centrale di compressione del gas di Mellitah. Il “tubo” si getta nel Mediterraneo da dove corre per 516 chilometri, giungendo fino a una profondità massima di 1.127 metri, fino in Sicilia, al Terminale di ricevimento Gas di Gela.
Eni, però, è presente in tutto il Maghreb e, più in generale, in tutta l’Africa dove è presente fin dagli albori, cioè dal lontano 1954. L’azienda lavora in 14 Paesi africani, impiegando 3.189 persone e restituendo per lo sviluppo locale una somma stimata in circa 37,1 milioni di euro, di cui 28,8 investiti nell’area sub-sahariana. In Tunisia, dove s’è da poche settimane cementata l’intesa con Snam per la rete di gasdotti che collegheranno il Nordafrica con l’Italia e, dunque, con l’Europa, Eni ha prodotto, nel 2021, 200 milioni di metri cubi di gas, un milione di barili di petrolio e due di idrocarburi. In Algeria Eni, dove è arrivata relativamente di recente (1981) e prima del consolidamento della partnership commerciale, ha prodotto 31 milioni di barili di idrocarburi, 1,7 miliardi di metri cubi di gas e 20 milioni di barili di petrolio. È forte la presenza in Egitto dove, sempre secondo i dati 2021, sono stati prodotti 30 milioni di barili di petrolio, 131 milioni di idrocarburi e 15,2 miliardi di metri cubi di gas.
Non solo Maghreb, però. Eni punta forte sul Mozambico dove ha investito forte sul giacimento Coral South, la cui capacità è stata stimata in circa 3,4 milioni di tonnellate di Gnl. L’estrazione del gas avverrà mediante una piattaforma galleggiante che è stata inaugurata, a novembre scorso, dal presidente del Paese africano Felipe Jacinto Nyusi e che è al centro di un importante progetto di sviluppo nell’area.
Il gas, dunque, non dovrebbe mancare all’Italia che sgomita per liberarsi dalla dipendenza russa e per raggiungere l’obiettivo di consacrarsi hub energetico nel Mediterraneo e in Europa. Il problema, semmai, potrebbe essere nei “colli di bottiglia”, cioè nelle infrastrutture sul territorio nazionale che dovrebbero assicurare i collegamenti tra i luoghi di produzione e i mercati che si intendono raggiungere. Insomma, ci vogliono i rigassificatori. L’ad Claudio Descalzi, intervenuto all’assemblea Proxigas, ha spiegato: “Abbiamo punti di accesso e connessioni con i paesi produttori di gas. Potenzialmente possiamo fare tante cose ma ci sono punti che devono essere sciolti. Occorre essere più veloci. La Germania ha opzionato sei rigassificatori e ne ha messo in funzione tre in 3-4 mesi. Noi facciamo più fatica”. Ma non è questo l’unico ostacolo da superare. Per Descalzi, infatti, c’è da risolvere il nodo legato alla dorsale adriatica. “Se vogliamo essere un hub servono delle strade che abbiamo ma che sono ancora piccole rispetto a quello che potremmo fare. La nostra ambizione non è solo quella di utilizzare il gas ma di dare beneficio all’Ue visto che il corridoio est-ovest è praticamente chiuso”.


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