Ambiente

L’EC e il suo futuro: il Summit Circular Economy

di Redazione -



Un futuro per l’Economia circolare è possibile? Può affermarsi concretamente una responsabilità diffusa di tutti, se è ancora vero che siamo ancora a un riciclo pari al 9% nel mondo? Servono scelte, non solo etiche e sociali, ma di business. Perché è anche vero che che laddove si punta a individuare le responsabilità individuali si arriva a un riciclo di plastica pari al 97%, trasformando i rifiuti e gli scarti di produzione da criticità a opportunità economica.


Se ne è discusso nei giorni scorsi nel corso del Circular Economy Summit- Intelligenza Artificiale e modelli di Economia Circolare: verso un ecosistema industriale rigenerativo, promosso da Business International, divisione di Fiera Milano, per lanciare il ritorno di The

Innovation Alliance, l’appuntamento fieristico che – dal 3 al 6 maggio – vedrà svolgersi

insieme in Fiera Milano quattro manifestazioni – Ipack-Ima, Print4All, GreenPlast, Intralogistica Italia -, con un unico obiettivo: presentare al mercato il meglio della meccanica

strumentale in una logica di filiera, raccontare le soluzioni più innovative dedicate ai diversi settori produttivi industriali e avviare una riflessione condivisa sulle grandi sfide cui il mondo industriale è oggi chiamato a rispondere, dall’economia circolare all’industry 4.0.

Nel Summit, gli interventi hanno preso il via dalla riflessione sui nuovi modelli industriali derivanti dagli ecosistemi industriali rigenerativi a cura di Alice Bodreau, Strategic Partners Manager di Ellen MacArthur Foundation. Per lei, l’economia circolare è fondamentale per contrastare il cambiamento climatico e raggiungere obiettivi legati ad altre sfide globali, offrendo al tempo stesso nuove e migliori opportunità di crescita. Non solo: le aziende che adottano modelli di business circolari possano ridurre il proprio profilo di rischio. L’economia circolare può, infatti, essere utilizzata come strategia per ridurre i rischi: l’analisi di 222 aziende europee appartenenti a 14 settori diversi ha evidenziato che più alto è il livello di circolarità di un’impresa, minore è il rischio di insolvenza sul debito lungo un orizzonte temporale breve (1 anno) o medio-lungo (5 anni).

Anche Rob Dellink, Senior Economist della OECD, ha tracciato un outlook da qui al 2060 focalizzandosi sui materiali e sottolineando come la direzione è proprio quella del recupero: a breve il riciclo soppianterà la miniera. La circolarità non deve essere, dunque, un obiettivo del singolo paese, ma un indirizzo comune a livello globale, per questo diventa fondamentale attivare iniziative di cooperazione internazionale che consentano lo scale-up dell’attività circolare oltre i confini nazionali, con una standardizzazione dei criteri di utilizzo delle risorse, un allineamento sul framework produttivo e dell’impianto legislativo, lo sviluppo di regole comuni e di un network internazionale di cooperazione, la creazione di regole che incentivino il riciclo delle materie. Su 50 paesi analizzati oggi solo 13 incentivano l’attività di riciclo delle materie.

Occorre un approccio nuovo che, come ha raccontato William Neale, DG Environment’s

Directorate B-Circular Economy della Commissione Europea, si è concretizzato nel primo action plan europeo nel 2015, che ha aumentato gli obiettivi di riciclaggio. Oggi si guarda alla seconda edizione di questo piano, che ha come focus la catena del valore, ma occorre, tuttavia, che i prodotti sostenibili diventino la norma in Europa, non l’eccezione, cercando di regolare i requisiti minimi perché un prodotto sia immesso sui mercati EU. E un altro elemento fondamentale sarà il passaporto digitale dei prodotti, per tracciare tutti i dati del prodotto, favorendone il riciclo o la riparazione e consentendo di aumentare la vita media del prodotto stesso. Esistono già le tecnologie per identificare e raccogliere questi dati, quello a cui si punta è creare link online per la consultazione di queste informazioni.

Circa le opportunità in campo, standard e legislazione europea sono fondamentali, ma altrettanto lo sono i relativi incentivi economici finalizzati a promuovere politiche condivise, spingere il riciclo e monitorare la gestione rifiuti. In questo senso vanno i fondi legati al PNRR, come ha raccontato Laura D’Aprile, Head of Department of Ecological Transition and Green Investment del nostro ministero della Transizione Ecologica. Ci sono 2,5 miliardi sul tema economia circolare, investimenti supportati anche da due riforme strutturali: la  Strategia nazionale su economia circolare e il Piano nazionale per gestione rifiuti.

L’obiettivo principale, in Italia, è colmare il gap fra le regioni del nord e quelle del sud, incentivando in particolare la corretta gestione dei rifiuti. 600 milioni di euro sono destinati a creare hub specifici di smaltimento declinati per settori differenti: rifiuti elettronici, in carta e cartone, in Plastica e del settore tessile. Serve quindi definire un target legato ai diversi contesti regionali, attuare criteri e linee strategiche per singole regioni per ridurre le differenze esistenti e incentivare la costruzione di impianti di riciclo che permettono raggiungere gli obiettivi europei.

In questo scenario, un forte aiuto può venire dall’intelligenza artificiale. ’intervento di Gianluigi Greco, Full professor in Computer Science and Engineering dell’Università della Calabria, Presidente di AIxIA- Associazione Italiana per l’Intelligenza Artificiale e membro di EurAI, ha approfondito l’interazione tra economia circolare e intelligenza artificiale e il ruolo della IA come concreto acceleratore per la realizzazione del nuovo modello economico. Ci sono tre aree in cui l’AI può dare un contributo in termini concreti. La prima è quella

del Design automatizzato, che consente di progettare materiali con specifiche caratteristiche, automatizzando un lavoro che manualmente risulta estremamente complicato, aiutando per esempio a produrre leghe e materiali a bassa tossicità. La seconda area di intervento è quella della manutenzione predittiva, che permette di capire qual è il residuo di vita di un prodotto e di aprire un eventuale secondo mercato. Infine, l’AI può assumere un ruolo chiave nel riciclo e riutilizzo del materiale: robotica o videosorveglianza applicata possono dare un contributo importante alla individuazione e separazione dei materiali, che oggi purtroppo ancora in tanti casi viene fatta manualmente.

Sul campo, le aziende appaiono fiduciose. Numerosi gli interventi degli imprenditori presenti: Carlotta de Bevilacqua, CEO & President, Artemide; Giulio Bonazzi, CEO, Aquafil; Christophe Rabatel, CEO, Carrefour; Simon Pietro Felice, CEO & General Director, CAVIRO Group; Sara Scrittore, Vice President and General Manager, Southern Europe Hub, Colgate-Palmolive; Nazzarena Franco, CEO, DHL; Lamberto Vallarino Gancia, CEO, Domori – Illy Group; Francesco Pintucci, CEO, Isem Group; Pierroberto Folgiero, CEO & Managing Director, Maire Tecnimont; Radek Jelinek, CEO & President, Mercedes-Benz; Valentina Pasqui, Owner & Managing Director, Pasqui Coating Converting Printing Company; Giuseppe Di Martino, CEO, Pasta Di Martino; Massimo Zonca, Board member,

Poplast.

Da loro, è venuta l’importanza di tre pilastri, fondamentali per far crescere l’economia circolare. Prima di tutto bisogna puntare sulla legislazione, sia in termini di gestione dei

rifiuti, sia in termine di scambi dei rifiuti tra paesi e la loro gestione internazionale. Poi ci vuole la formazione, interna ed esterna, perché laddove c’è “cultura” ci sarà una migliore gestione del riciclaggio. Infine, è fondamentale l’Ecodesign: la sostenibilità di un prodotto parte dal momento stesso della ideazione, perché la progettazione terrà conto della vita dei prodotti, puntando a una maggiore durata, alla loro possibilità di riutilizzo, ma anche all’impiego degli scarti di lavorazione. Così, in una visione circolare, infatti, i materiali di scarto del vino o della cioccolata diventano per esempio la base per la produzione di energia o di innovativi packaging, l’esubero di prodotti alimentari nella distribuzione entra in canali paralleli che rappresentano un concreto contributo al food waste.

Ma ci vogliono anche scelte di rottura: la collaborazione con i competitor per lavorare su standard comuni; la decisione di investire in nuove modalità produttive, che puntino alla sostenibilità sin dalla fase di progettazione e monitorino la sostenibilità dell’intera filiera, fornitori compresi; il coraggio di stravolgere i propri impianti produttivi. Investimenti importanti, che però consentiranno di restare competitivi e di contribuire concretamente al “cloosing the loop”.


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