Economia

L’economista Giraudo e le nuove sfide: “Vince chi controlla le materie prime”

di Giovanni Vasso -

Xi Jinping, President of the People's Republic of China


Il mondo appartiene a chi ha le materie prime, la tecnologia per sfruttarle e i capitali per metterle in moto. Alessandro Giraudo, economista, allievo a Berkeley di Carlo Maria Cipolla, oggi insegna Finanza internazionale e Storia Economica della Finanza in una delle Grandes Ecoles di Parigi. Alle materie prime ha dedicato ben due libri, interessantissimi: Storie Straordinarie delle Materie Prime e Altre storie straordinarie delle Materie prime, edite in Italia da Add Editore.

Popoli e re, imperatori e pirati, spie e mercanti. Il mondo, più che intorno alle idee, ruota attorno alle materie prime e a chi ne ha possesso?
“Nel passato i potenti cercavano di controllare le produzioni di cereali, d’oro e d’argento, di rame e di stagno (per produrre il bronzo), di sale e di alcune spezie, fra cui, il pepe. In altri termini, volevano disporre dei principali ingredienti della vita dell’epoca: pane e sale che è stato il frigorifero dell’umanità per conservare gli alimenti. Poi le spezie che servivano alla farmacopea, oltre che a dare gusto agli alimenti. Infine, la coppia preziosa oro-argento: i due metalli erano alla base della moneta dell’epoca. Le spezie hanno perso un po’ del loro valore e sono state rimpiazzate dal ferro e dal carbone. Proprio grazie al carbone il mondo ha beneficiato di uno sviluppo incredibile: energia a basso costo significa crescita dell’economia. Ed ancora oggi l’energia domina la scena internazionale: petrolio, gas, energia nucleare a cui bisogna aggiungere l’energia verde”.

Controllare le rotte delle spezie, ieri, era possedere una delle chiavi del commercio globale. Oggi quali sono le rotte e le materie prime più importanti?
“Tomé Pires, speziale e primo ambasciatore portoghese in Cina scrisse nel suo rapporto sull’Asia Suma Orientalis: ”Chi regna su Malacca può strangolare Venezia”. Una frase molto importante che fa una sintesi della realtà che vale ancora oggi. Secondo la US Energy Information Administration, più del 30% del commercio marittimo di petrolio greggio passa attraverso il Mar Cinese Meridionale. E oltre il 90% del petrolio che arriva in questo bacino transita per lo Stretto di Malacca… la VII Flotta americana può attraversare lo Stretto di Malacca, entrare nell’Oceano Indiano, nel Mar Arabico e raggiungere la regione del Golfo entro 24 ore. Da sempre gli stretti, sono stati i colli di bottiglia da controllare e sono stati all’origine di molti conflitti. Oggi non è difficile navigare; le navi sono diventate grandi computer che solcano gli oceani con l’aiuto di vari strumenti di navigazione, fra cui il Gps; ma tutto il sistema dipende largamente dagli stretti!”

L’Europa si è scoperta dipendente dal gas russo e scossa dalla speculazione al Ttf di Amsterdam. L’inflazione è schizzata alle stelle e l’economia Ue si sta deprimendo. Dove stiamo andando?
“L’Europa sapeva perfettamente di essere dipendente dal gas russo ed ha seguito la Germania: un’energia a buon mercato, una Cina che produce una quantità infinita i beni industriali e di consumo a basso prezzo, un mercato mondiale (soprattutto americano) che assorbe la produzione tedesca. L’Europa ha fatto le stesse scelte e in un clima di progressiva globalizzazione e di non-guerra commerciale tutto è andato bene. Poi c’è stato il primo sassolino (probabilmente un macigno) nella scarpa: le scelte protezionistiche di Trump, poi seguito da Biden. Basta analizzare il programma Ira che ufficialmente ha come obiettivo la lotta contro l’inflazione; di fatto è un “buy American and produce in America”. Il secondo sassolino è la scelta politica di applicare delle sanzioni contro la Russia: c’è un embargo contro il petrolio ed il carbone russo, non c’è contro il gas…ma il sabotaggio dei due Nord Stream 1 & 2 è l’equivalente, anche se il N.S.-2 non ha mai funzionato… La speculazione sul mercato TTF olandese ha aggiunto una dose di difficoltà. Attualmente il prezzo del gas negli USA oscilla intorno ai 10$/milione di Btu, in Asia fluttua nella banda 30-35$, in Europa (affamata di gas) i prezzi, dopo la fiammata iniziale, si sono stabilizzati intorno ai 40$. È evidente che le imprese sono davanti a scelte strategiche shakespeariane: le industrie energivore devono decidere se rimpatriare le produzioni, espatriarle o realizzare nuovi investimenti in regioni dove l’energia ha dei “bassi” costi, cioè nei paesi produttori!”

È giusto pensare a un price cap?
“In economia si sa che i prezzi calmieratori funzionano un momento, ma sono come in una diga: se la pressione è troppo forte si può colmatare una falla, ma subito se ne apre un’altra. Il prezzo “cap” applicato nei confronti di un paese orienta la domanda verso altri che possono aumentare i loro prezzi. La soluzione migliore sarebbe quella di formare un consorzio europeo che procede agli acquisti collettivi con un poter di negoziazione molto più forte di quello che ogni paese può mettere sul tavolo”.

Il mancato approvvigionamento di grano dall’Ucraina fa sballare i prezzi e rischia di innescare l’ennesima emergenza alimentare in Africa e Medio Oriente: c’è una lezione da imparare?
“La mia risposta è: propaganda o disinformazione? Le statistiche ufficiali ucraine mostrano che le esportazioni di cereali del paese durante la campagna 2021-22 sono state eccezionali con un nuovo record a 48.5 milioni di tonnellate. Invece per la campagna in corso 2022-23 sono in ribasso del 29.9% a 18.3 milioni di tonnellate, ma continuano regolarmente. In realtà, un volume di 48.5 milioni di tonnellate rappresenta l’1.7% della produzione mondiale della campagna 2021-22 che è stata di 2791 milioni di tonnellate. Quindi la fiammata dei prezzi, violentemente corretta, è una pura speculazione. Bisogna segnalare che la posizione geografica dell’Ucraina facilita le esportazioni verso i paesi del Medio Oriente (come l’Egitto, secondo importatore mondiale di grano) e dell’Africa orientale. In altri termini, il surplus della produzione mondiale di cereali esiste e copre un quarto della domanda, gli stocks sono localizzati nelle regioni di produzione (Usa, Europa, Argentina, Brasile, Australia, Russia) ma sono “lontani” dalle zone deficitarie e di consumo. Quindi i costi di distribuzione sono superiori come lo sono i tempi, ci vogliono più 5 settimane per ricevere a Genova dell’orzo australiano che è imbarcato nei porti occidentali del continente. D’altro canto, le storie sui cereali che marcivano nelle stive delle navi bloccate nei porti ucraini sono menzogne: i cereali possono rimanere in una stiva di una nave senza degradarsi per almeno sei mesi e se sono stoccati in un silo su terra possono rimanere fra otto e dodici anni!”.

Gli Stati Uniti hanno promulgato l’Inflaction Reduction Act che, puntando forte su tecnologie innovative e pulite, mira a recuperare il tempo perduto rispetto alla Cina che, nel frattempo, ha fatto incetta di terre rare (per esempio) in giro per il mondo. Che effetti potrà avere questa scelta sugli Usa e, poi, sull’Europa?
“Siamo di fronte ad un grande braccio di ferro fra paesi che possiedono le materie prime (con poca tecnologia e pochi capitali) e paesi che invece non dispongono di materie prime, ma possono contare su capitali e tecnologia (Europa e Giappone, in primis). Ma nel mondo ci sono due paesi che hanno il tris vincente nelle mani: gli USA e la Cina. Gli USA dispongono di molta tecnologia e di capitali. I mercati finanziari americani riescono ad attirare i capitali internazionali, nonostante il mostruoso deficit commerciale e la dipendenza dal mercato dei capitali internazionali del finanziamento dell’enorme deficit del bilancio statale. Ma gli USA sono diventati il primo produttore mondiale di petrolio e di gas e sono il terzo produttore di carbone Inoltre, figurano fra i principali produttori di cereali e dispongono di una discreta produzione di metalli di base (fra cui rame, zinco, piombo, nickel). Le scelte di Trump e di Biden sono chiaramente orientate a rilanciare l’industria americana ed a produrre sul suolo americano. La Cina copiava la tecnologia occidentale, ora dispone di una sua, di buona qualità ma le sue imprese non posseggono tutti i brevetti. Il paese dispone di molti capitali, la banca centrale si classifica al terzo posto per le riserve, dopo gli USA ed il Giappone…anche se il sistema bancario è fragilizzato dalla seria crisi del mercato immobiliare. D’altro canto la Cina è n grande produttore di materie prime e controlla in media l’80% della produzione mondiale di metalli strategici e terre rare. Il braccio di ferro rischia di diventare molto più violento e richiede degli sforzi e dell’immaginazione da parte degli altri paesi che non hanno le tre carte nelle mani…soprattutto in Europa, dove – per l’istante – ogni paese cerca la sua soluzione e va sulla sua strada in una cacofonia assordante ed una sinfonia stridente di egoismi nazionali! Senza alcun dubbio, la crisi attuale è un vero test vitale per l’Europa”.


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