Politica

Lega, la partita di Salvini con Vannacci vice: Veneto e autonomia

di Ivano Tolettini -


Che cosa si nasconde dietro la mossa dell’auto candidatura di Matteo Salvini, ieri annacquata, del suo ritorno al ministero degli Interni, promettendo al neo-tesserato Roberto Vannacci di cooptarlo come quarto vicesegretario di un partito a vocazione ormai nazionale, di cui il Capitano sarà leader fino al 2029, e che cerca di mantenere saldi radici a Nordest, nonostante che nelle ultime due tornate elettorali – politiche 2022 ed europee 2024 – FdI lo abbai svuotato degli elettori, rimanendo il consenso leghista attorno all’8-9%? Salvini non è uno sprovveduto ed è consapevole che in questa fase per fare le scarpe a Piantedosi dovrebbe passare sul cadavere di FdI, dunque della premier, e del segretario di FI, Antonio Tajani, che mal sopporta il suo movimentismo pubblico e che gli ha già detto che in quel caso la crisi di governo sarebbe automatica. “Gli italiani non sono preoccupati degli spostamenti di poltrone, ma di ciò che accade nel mondo per via dei dazi”, insiste il vicepremier azzurro. Del resto, lo stesso Salvini ieri ha parlato con il collega Piantedosi con il quale “stima e amicizia restano intatti e non ci saranno mai litigi, né oggi né domani”. Pertanto, la strategia commerciale-trumpiana che tanto piace al ministro delle Infrastrutture, declina in realtà alla voce Viminale la poltrona del presidente del Veneto e la riforma autonomista. Il giorno dopo la conclusione a Firenze del congresso federale che lo ha acclamato per la quarta volta, e in cui il proconsole Vannacci ha snocciolato il mantra che “la Lega deve essere sovranista in Europa per essere autonomista in Italia, altrimenti questa autonomia l’Unione Europea ce la mangia come Gargantua”, il segretario leghista ribadisce che chi si affida alla Lega fa una scelta di pace e sceglie l’interesse nazionale, ma soprattutto investe sul perseguimento delle riforme. A partire dall’autonomia differenziata. Non è un caso che Luca Zaia gli ha detto chiaro e tondo dal palco fiorentino di Fortezza Da Basso, nella due giorni in cui è rimbombato l’orgoglio leghista, che deve portarla a casa, perché “solo così ti appoggio ancora”. Se è vero che l’altro vicesegretario Claudio Durigon ha dichiarato che “Salvini ha subito una enorme ingiustizia se pensiamo prima alle chat di Palamara (“dobbiamo fermarlo a tutti i costi”) e poi al processo Open Arms di Palermo, iniquo e ingiusto che si è concluso con un’assoluzione piena, perciò va ridato a Salvini ciò che gli è stato tolto; Piantedosi ha lavorato con il nostro segretario in passato e sta facendo il suo, ma in questo momento di grande insicurezza nel Paese e di immigrazione clandestina ancora troppo fuori controllo, c’è bisogno di una forza politica al ministero dell’Interno. Serve una volontà politica con la P maiuscola e serve quindi che Salvini torni al Viminale”, c’è chi legge nel forcing leghista l’obiettivo di ottenere per il suo partito la candidatura del dopo Zaia. Difficilmente giovedì la Consulta aprirà al terzo mandato dei presidenti di regione, dopo che lo scorso 10 dicembre la stessa Corte a proposito del vincolo per i sindaci dei Comuni superiori ai 15 mila abitanti, ha chiosato che “la determinazione del numero massimo di mandati consecutivi, è una scelta normativa legittima, finalizzata a bilanciare l’elezione diretta del sindaco con la parità di condizioni tra i candidati, la libertà di scelta nel voto degli elettori e il fondamentale ricambio della rappresentanza politica, elementi che contribuiscono, congiuntamente, a garantire la democraticità degli enti locali”. Perché non dovrebbe valere questo principio, si chiedono dalle parti di Fratelli d’Italia, spalleggiato dal partito di Elly Schlein che vuole fermare Vincenzo De Luca in Campania, anche per le Regioni? Se è vero che ogni riferimento alla bandiera del leone marciano è sparito a Firenze, tant’è che l’unica esponente di rilievo a indossare una maglietta veneta doc era l’ex ministra Erika Stefani, Zaia parlando dell’identità ( e Futuro, il nome della mozione presentata dal segretario regionale Alberto Stefani, salviniano di ferro), che è consustanziale al leghismo, ha ribadito che senza riforma autonomista si tradisce l’elettorato. Sul punto gli ha dato manforte il ministro Roberto Calderoli, sicuro che entro la fine anno arriverà la norma sulla fiscalizzazione del trasferimenti e la fissazione per legge dei Lep. Ecco perché la scorribanda dialettica salviniana in riva all’Arno, in realtà è un messaggio a Meloni – in politica mai nulla avviene per caso -, affinché non sia intransigente con la successione leghista a Zaia.


Torna alle notizie in home