Politica

LEGGE ELETTORALE CHE FINE HA FATTO?

di Redazione -

Francoforte - Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella con Mario Draghi, Presidente della Banca Centrale Europea, oggi 28 ottobre 2019. (Foto di Paolo Giandotti - Ufficio per la Stampa e la Comunicazione della Presidenza della Repubblica)


Vi ricordate le laboriose trattative imbastite poco meno di due anni fa (estate del 2019) tra Luigi Di Maio (M5S) e Nicola Zingaretti, all’epoca segretario del Pd, per dare vita al secondo governo Conte dopo “l’esibizione” di Matteo Salvini al “Papeete? Bene, tra le condizioni poste dai due per formare un esecutivo giallo-rosso ci fu una partita di scambio. Il Pd avrebbe cambiato posizione sulla riforma costituzionale che “tagliava” i parlamentari, fortemente voluta dai cinquestelle, contro la quale i “democratici” avevano votato ben tre volte contro, ed in cambio avrebbe avuto una nuova legge elettorale mandando in soffitta il “Rosatellum” che avrebbe corso il rischio di favorire il centrodestra nelle elezioni politiche. La partita di scambio però non è andata in porto. Mentre i pentastellati hanno ottenuto il taglio di deputati e senatori, il Pd non ha ottenuto la nuova legge elettorale, già chiamata il “tedeschellum” o “germanicum” perché si ispirava al sistema politico tedesco, ovvero proporzionale con lo sbarramento al 5 per cento. Il provvedimento in questione è infatti oramai da mesi, molti mesi, fermo presso la Commissione Affari Costituzionali della Camera e lì giace in attesa di tempi migliori sia per la forte incidenza del coronavirus sui lavori parlamentari, sia perché sembra mutata, con il cambio di segreteria al Largo del Nazareno tra Nicola Zingaretti ed Enrico Letta, la propensione verso il proporzionale con un ritorno, appena accennato dal nuovo leader del Pd poco dopo il suo insediamento, al maggioritario versione “Mattarellum”. Tutto fermo dunque, e né i vertici democratici né quelli pentastellati (tra i cinquestelle c’è molta confusione in attesa della nuova leadership di Giuseppe Conte) sembrano avere fretta, quasi che fossimo ancora all’inizio della legislatura e non nella seconda parte della stessa, con il rischio di elezioni anticipate il prossimo anno se Mario Draghi prendesse il posto di Sergio Mattarella al Quirinale. E sì che Letta, da quando è alla guida del Pd, ha avanzato molte proposte, dallo “ius soli” alla patrimoniale sulla tassa di successione per i redditi più alti per dare una “dote” ai diciottenni. Sulla legge elettorale, come detto, tranne quel breve accenno nei primi giorni di leadership ai vertici del Pd, silenzio assoluto e, considerato che ci sarà molto da fare sul fronte delle acquisizioni dei fondi europei per superare la grave crisi provocata dalla pandemia (riforma della giustizia e della burocrazia, interventi in favore dell’ambiente, per fare qualche esempio) e che tra qualche mese si entrerà in sessione di bilancio e poi, ad inizio anno, si dovrà scegliere il nuovo Capo dello Stato viste le resistenze di Mattarella all’invito di imitare Giorgio Napolitano, ovvero di stare ancora un anno-due al Quirinale, pensiamo che la nuova legge elettorale resterà ancora un po’ nei cassetti della Commissione. Speriamo di sbagliarci, anche perché, se Letta punterà ad un ritorno del “Mattarellum” non troverà grossi ostacoli da parte del centrodestra perché in questa situazione, con Pd e M5S ancora alla ricerca di un’intesa elettorale, per la coalizione di Salvini, Meloni e Berlusconi si aprirebbero praterie nei collegi uninominali,  Nel frattempo, invece, va avanti la riforma costituzionale che abbassa da 25 a 18 anni l’età per eleggere i senatori (resta ferma invece l’età di 40 anni per entrare a far parte dell’assemblea di Palazzo Madama). Qualche giorno fa, infatti, la Camera ha approvato in terza lettura il provvedimento che ora attende il via definitivo dalla quarta lettura del Senato. Qualcosa, come si vede, si muove. 

 Giuseppe Leone


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