Lei è “infedele”ma nei conti non nell’amore
C’è un nuovo tipo di infedeltà riconosciuto dai giudici: quella economica. Non riguarda i tradimenti sentimentali, ma la rottura del patto di lealtà patrimoniale che lega due coniugi. È la storia, giuridicamente esemplare, di una coppia vicentina sposata nel 2011 e separata dopo otto anni, finita davanti al tribunale civile di Vicenza.
I fatti
Lei, 41 anni, aveva denunciato l’ex marito per maltrattamenti, ma l’inchiesta da “codice rosso” si è conclusa in aula con l’archiviazione: nessuna prova di violenza fisica o psicologica. L’uomo, un imprenditore 50enne, è rimasto con un’accusa infamante caduta nel vuoto, ma in aula ha ribaltato la prospettiva: non era lui ad aver tradito, bensì lei, “economicamente”. Secondo i giudici di primo grado, e ora anche della Corte d’appello di Venezia, la donna aveva sottratto cospicue somme di denaro dal conto familiare, destinate non alle necessità comuni, ma a spese personali e risparmi privati. Il suo comportamento, scrivono i magistrati, “ha interrotto il vincolo di collaborazione economica e patrimoniale che deve animare il matrimonio”. Una condotta che, nel tempo, aveva eroso la fiducia reciproca, principio cardine dell’unione coniugale.
La sottrazione
La moglie gestiva i conti di famiglia e, dal 2012 al 2019, avrebbe prelevato periodicamente importi non giustificati, accumulando circa 150 mila euro in un conto separato. Secondo la banca, quei movimenti non rientravano in spese per la casa o i figli. Quando il marito si accorse della sottrazione, la crisi era ormai irreversibile. Lei chiese la separazione, con addebito a lui, e un assegno di mantenimento.
La sentenza
Ma i giudici hanno capovolto tutto: l’addebito è stato disposto a carico della donna, che dovrà anche risarcire l’ex. La sentenza, come scrive Diego Neri nel Giornale di Vicenza, afferma un principio destinato a fare scuola: la “fedeltà coniugale”, prevista dall’articolo 143 del Codice civile, non si esaurisce nel dovere di esclusività sessuale. Riguarda anche “l’impegno a non tradire la fiducia economica, a condividere le risorse per il bene comune della famiglia”. Tradire quella fiducia equivale, per la legge, a un’infedeltà morale e patrimoniale. L’articolo 151 del Codice civile prevede che la separazione possa essere addebitata a chi viola gravemente i doveri del matrimonio. E tra questi, sottolineano i giudici, vi è anche la gestione leale dei beni comuni. La fedeltà, sottolineano i giudici, è un impegno assunto da ciascun coniuge a non ledere la reciproca fiducia, in senso non solo fisico ma anche economico e spirituale.
Il tradimento economico
Nel dispositivo, la Corte d’appello ha richiamato una serie di precedenti che riconoscono l’esistenza di un “tradimento economico”, quando un coniuge agisce in modo da danneggiare la solidarietà familiare o si appropria di risorse comuni per fini egoistici. La donna ha già annunciato ricorso per Cassazione, ma il principio giuridico è tracciato: la lealtà coniugale non si misura solo in amore o tradimenti, bensì anche nei conti correnti, nelle scelte di spesa, nel rispetto di un progetto di vita condiviso. In questa vicenda, insomma, la giustizia ha parlato il linguaggio della fiducia: quella che si perde, spesso, molto prima dell’ultimo bacio, e che alimenta con le distorsioni affettive anche ricadute pianificate sul piano economico.
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