Editoriale

L’ERA DELLA VULNERABILITÀ

di Tommaso Cerno -

Tommaso Cerno


Dunque se lo smarthphone è la bacchetta magica che ci ha proiettati, un po’ speranzosi e un po’ illusi dentro la rivoluzione digitale, ci accorgiamo oggi che è anche la porta della nostra casa virtuale, dentro cui custodiamo tutto. E come noi lo fa la nostra banca. Lo fa l’ospedale. Lo fa l’Inps con i conti delle nostre pensioni. Lo fanno gli Stati e gli eserciti. E se quei portoni restano aperti all’intruso c’è poco che possiamo fare. Perché l’era del dominio assoluto dell’uomo sui processi si è fermata improvvisamente per aprirsi all’epoca della nuova vulnerabilità. La guerra nel cuore dell’Europa. Il mondo che si divide in due. Gli scenari di un passato che ritorna più moderno e più pericoloso. E sullo sfondo il mondo digitale, che ci aveva promesso più benessere, più informazione, più commercio, minori distanze fra un punto e l’altro del pianeta e che oggi si dimostra invece il portone di accesso dei pericoli: dalla vita privata, i nostri dati sensibili, i conti in banca, le cartelle cliniche fino alla sicurezza militare, alla cassaforte di informazioni più segrete degli Stati. È di fronte a questo scenario a parole portentoso nei fatti e spaventoso che l’uomo oggi deve progettare il proprio futuro. Un futuro che al tempo stesso ci appare più fragile, immersi come siamo in una crisi economica che sta facendo scomparire intorno a noi come in un videogame quei punti fermi e quella materialità su cui avevamo costruito le nostre certezze. Questo mondo digitale che ha cambiato il lavoro senza portare con sé i lavoratori, che ha cambiato l’economia riducendo il posto per gli esseri umani, che dopo avere meccanizzato le fabbriche ha digitalizzato la nostra vita quotidiana, le nostre amicizie, la nostra rabbia, i nostri entusiasmi. Ed ecco che sempre più parte della nostra libertà, quella che ci avevano garantito essere ormai data per sempre, torna in mano al potere. Il potere economico, il potere militare, gli Stati. Ma ecco che mentre tutto il mondo è in mano a un click, come abbiamo vissuto tutti in queste ore, quando un attacco hacker ha messo in ginocchio gran parte dei sistemi telematici dell’Occidente, mostrandoci come questo Impero di bit, miliardario, apparentemente sicuro, sia molto più fragile delle vecchie fortezze medievali che facevano molta più fatica a cadere colpite dal nemico, torna la piazza. Le bandiere anarchiche, il caso Cospito, ma anche le manifestazioni in mezza Europa contro le pensioni in Francia, gli scioperi in Germania, la rabbia delle classi sociali impoverite. Sembra quasi che i protagonisti del mondo di domani, quelli almeno a cui esso era stato promesso, si stiano lentamente rendendo conto della bolla, e della balla, che il potere economico e politico che sta governando i processi di questi anni ci ha raccontato. E altro non possano fare che riappropriarsi della materia, dei luoghi, della fisicità . E così vanno dove da tempo non andava nessuno. In piazza. Non dobbiamo guardare la bandiera della singola protesta. Dobbiamo guardare il continente europeo nel suo insieme. Dobbiamo prendere atto che sì ci aspetta una stagione di protesta carnale. Dove le persone, che per molto tempo anche a causa del Covid si sono viste molto poco fra loro, trovavano inutile se non pericoloso incontrarsi, ritrovano nello scontro insieme l’unico modo di poter esistere di fronte al potere che non sanno più controllare. Un potere che non si identifica nemmeno nella politica. Come ci confermeranno fra pochi giorni anche le elezioni regionali. Come già hanno fatto le Politiche. Come ormai ci siamo abituati a fare anche noi. Un potere che sfugge. Che viene immaginato lassù, in alto, in un luogo indefinito di forze e di interessi. Poco raggiungibile. Per nulla maneggiabile. Lontano da noi. Quindi dalla democrazia. Di cui oggi restano solo gli oneri, o quasi. E sfuggono gli onori. I vantaggi. L’idea di un domani migliore. Su cui essi erano nati.


Torna alle notizie in home