Economia

L’errore? Troppi soldi presi a debito Ma col general conractor ce la faremo

di Redazione -

RAFFAELE FITTO MINISTRO PER GLI AFFARI EUROPEI, IL SUD, LE POLITICHE DI COESIONE E IL PIANO NAZIONALE DI RIPRESA E RESILIENZA


di RAFFAELE TITOMANLIO

Indietro non si può tornare, altrimenti ne sarebbe sicuramente valsa la pena di riavvolgere il nastro e rimettere in discussione almeno alcune delle scelte che, soprattutto all’inizio, l’Italia ha assunto in materia di Piano nazionale di ripresa e resilienza. Ad avviso di chi scrive, infatti, all’epoca si decise di optare per una eccessiva quota di risorse a debito, che il nostro Paese sta naturalmente ricevendo a condizioni più vantaggiose rispetto a quelle che avrebbe avuto finanziandosi in via ordinaria sui mercati, ma che comunque dovrà iniziare a restituire a partire dal 2028. In totale, come è stato spesso ripetuto in questi anni quasi fosse un mantra, si tratta di 191,5 miliardi di euro da impiegare nel periodo 2021-2026, di cui 68,9 di sovvenzioni a fondo perduto e 122,6 di prestiti. Tantissimi fondi da spendere, forse troppi, per qualsiasi Paese, a maggior ragione per l’Italia che ha ereditato dal passato norme spesso barocche e incomprensibili e procedure amministrative farraginose e inefficienti, oltre a un debito pubblico enorme destinato a pesare come un macigno sulle future generazioni. Tuttavia, appunto, il passato non si può cambiare, neppure ovviamente in questo mutato contesto economico globale che pure avrebbe suggerito decisioni diverse in sede europea. Bene ha fatto dunque il governo – considerate le circostanze contingenti – a intervenire sulla governance del Pnrr nel tentativo di provare a mettere un po’ di ordine nel caos che regnava e di garantire il più possibile che i progetti messi su carta vengano realizzati e le relative risorse effettivamente spese. In questo senso sono stati rimodulati i centri di responsabilità che sovrintendevano al piano, com’era necessario fare. E, certo, ora è lecito attendersi che la situazione possa migliorare grazie alla nuova Struttura di missione per il Piano nazionale di ripresa e resilienza istituita a Palazzo Chigi e alle dirette dipendenze del ministero per gli Affari europei guidato da Raffaele Fitto e, altresì, all’Ispettorato generale per il Pnrr costituito al ministero dell’Economia e delle Finanze e incardinato presso la Ragioneria generale dello Stato. In tale contesto, al netto delle numerose difficoltà, appare evidente e apprezzabile il tentativo di ispirare anche il recente decreto sul Pnrr, poi convertito in legge, al principio del risultato che costituisce, insieme anche a quello della fiducia, una delle più importanti novità del nuovo codice degli appalti, approvato a fine marzo ma destinato a iniziare a produrre i suoi effetti solo dal prossimo primo luglio. Un codice che, però, non interviene sul complesso sistema autorizzatorio italiano, che è poi quello che contribuisce maggiormente a rendere eccessivamente lungo e complicato l’iter di realizzazione delle opere pubbliche. Non che dovesse farlo per la verità, considerato che fin dall’inizio si sapeva che il nuovo codice avrebbe riguardato le gare e non il 2 procedimento amministrativo, al quale è dedicata invece un’altra delle innumerevoli leggi di questo Paese che regola l’istituto della conferenza dei servizi in cui tante inefficienze e lungaggini tradizionalmente si annidano. Su questo aspetto il decreto Pnrr ha meritevolmente prorogato al 30 giugno 2024 per le opere previste dal piano la cosiddetta conferenza dei servizi accelerata che prevede procedure semplificare e termini ridotti. Tuttavia, ritengo si potrebbe fare di più anche perché quest’ultima novità è destinata a non poter essere applicata, senza apposita previsione normativa, ai tanti e importanti interventi non inclusi nel Pnrr, per i quali vige invece l’ordinaria disciplina degli appalti pubblici. Per cercare di velocizzare le cose, a tal proposito, il nuovo codice appena approvato prevede una specifica modalità operativa che presuppone di affidare la responsabilità della fase del processo autorizzatorio a un soggetto imprenditoriale capace di gestire i rapporti con le amministrazioni deputate a rilasciare permessi, nulla osta, autorizzazioni, insomma tutti quegli atti indispensabili per aprire la fase della gara. Si tratta di uno strumento creato apposta per realizzare questo obiettivo, previsto dalla parte finale del nuovo codice dedicata ai servizi globali. Il contraente generale non esegue soltanto le opere, ma svolge anche un’attività di servizi, appunto di servizi globali, perseguendo il risultato amministrativo affidatogli dall’amministrazione contraente. Con molta lungimiranza, il legislatore di fatto ha disegnato quello che in tutto il mondo si chiama General contractor, la figura chiamata a prendere in pugno la regia di quel percorso a ostacoli che la conferenza di servizi non è riuscita mai a superare. In un piano dalle dimensioni del Pnrr, con condizioni e termini così stringenti, non sarebbe sbagliato almeno testare le potenzialità di un tale strumento.

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