Esteri

L’Europa sempre più divisa su diritto di veto e sanzioni

di Davide Romano -


Macron chiede la revisione dei trattati Ue ma 13 Stati non ci stanno. Intanto Draghi vola in America ma la sua maggioranza è sempre più pacifista

Il futuro dell’Europa sembra destinato a essere sempre meno “unitario”. A Strasburgo, dove il tema era proprio il futuro dell’Unione, Emmanuel Macron ha lanciato la palla avanti, ma quasi la metà degli Stati della Ue (13 per l’esattezza) non sembrano intenzionati a seguirlo sulla strada della creazione di una “Comunità politica europea”. Raccogliendo l’assist di Ursula von der Leyen, che intervenendo prima di lui alla “Festa dell’Europa” aveva aperto alla possibilità di una “revisione dei trattati, l’inquilino dell’Eliseo fresco di riconferma ha premuto sull’acceleratore, chiedendo di convocare “una convenzione di revisione del Trattato”. Il nodo principale è quello dell’abolizione del principio dell’unanimità che, stando alla visione del presidente francese, impedirebbe all’Europa di proiettare la propria potenza. E quindi immaginare uno spazio comune capace di inglobare altre nazioni europee che condividano i valori della Ue – tra cui anche la Gran Bretagna e la stessa Ucraina – senza dover aspettare “anni o decenni per l’iter di adesione” ha spiegato Macron, che ha però trovato l’opposizione di Polonia, Romania, Svezia e altre dieci nazioni Ue che hanno giudicato i suoi sforzi “prematuri e avventati”. Ma la futura governance Ue non è l’unico motivo di divisione, visto che non si è trovata la quadra nemmeno sul sesto pacchetto di sanzioni, quello che introdurrebbe l’embargo del greggio russo tra sei mesi e dei prodotti raffinati a fine anno. Decisivo il veto del premier ungherese Viktor Orban, che ha spiegato come l’Ungheria rischierebbe la paralisi economica. Anche in questo caso è stato Macron a tentare una mediazione con una telefonata allo stesso Orban. L’attivismo del presidente francese – che sempre a Strasburgo aveva sottolineato la necessità di “non umiliare la Russia per costruire la pace” – lo ha portato ad incontrare anche il cancelliere tedesco Olaf Scholz che, con il suo collega francese, condivide la necessità di un approccio più dialogante sulla crisi Ucraina: “Non prenderemo alcuna decisione che porti la Nato in guerra”, ha detto sotto la porta di Brandeburgo. Il rinnovato asse franco-tedesco sembra aver fatto proseliti anche in Italia. A Conte e Salvini, che da settimane si dicono contrari all’invio di nuove armi in Ucraina, si è aggiunto anche il segretario del Pd Enrico Letta, con parole che suonano come un vero e proprio dietrofront: “Non dobbiamo farci guidare dagli Usa, l’Europa è adulta. Questa guerra è in Europa e l’Europa deve fermarla”, ha detto in una intervista al Corriere. Draghi è partito per gli Usa con l’obiettivo di “rinsaldare il legame transatlantico”. Se, come sembra, Biden dovesse chiedere all’Italia un nuovo invio di armi all’Ucraina e lo schieramento di più soldati sul fianco orientale della Nato, il premier dovrà “obbedire” andando contro buona parte della sua stessa maggioranza. Ma non dovrebbe essere un problema. Del resto la fama del “decisionista presso terzi” accompagna Super Mario già da tempo.


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