L’ex Maresciallo Marchetto: “Le indagini a Garlasco non sono state fatte a 360°. Ora emerge ciò che sostenevo”
Parla l'ex maresciallo che fu coinvolto nelle prime indagini sul'omicidio di Chiara Poggi
“I miei guai cominciano quando dico al mio superiore che sul delitto di Garlasco bisognava indagare a 360 gradi, non solo su Alberto Stasi. Da quel momento sono stato esautorato dalle indagini“. Parla in esclusiva a L’Identità l’ex maresciallo Francesco Marchetto, all’epoca dell’omicidio di Chiara Poggi comandante della stazione dei carabinieri, finito sotto processo per falsa testimonianza, accusato di aver mentito davanti al giudice riguardo alla decisione di non sequestrare la bicicletta da donna utilizzata da Alberto Stasi, l’unico condannato per l’omicidio avvenuto il 13 agosto 2007.
Marchetto andò nell’officina del padre dell’indagato ma non sequestrò la bici, ritenendo che non corrispondesse alla descrizione di quella vista dalla testimone Franca Bermani davanti alla villetta di via Pascoli all’ora del delitto.
Marchetto, lei fin dalla prima ora si era convinto che Stasi fosse l’assassino. Perché poco dopo cambiò idea?
“Perché le indagini servono a quello, a dimostrare l’innocenza o la colpevolezza di una persona. Se durante l’indagine mi rendo conto che magari questa persona, anziché essere l’omicida, è solo uno che si è spaventato quando è entrato in casa ed è andato nel panico, non posso insistere a dire che lui ha commesso il fatto. Anche perché cominciavano a venire fuori altre piste”.
E lì è andato a riferirlo ai superiori?
“Sì, sono andato da Gennaro Cassese, dicendogli che ci sono dei verbali non completi, e cioè quelli della gemella Stefania Cappa, e dei riscontri non fatti sulla mamma Maria Rosa”.
Si spieghi meglio.
“In uno non vanno a vedere la bicicletta nera indicata dalla Bermani e poi dall’altro testimone Marco Muschitta. La madre dice di essere uscita alle 9:30 e il commerciante sostiene di averla vista alle 8:30. Dissi che c’erano elementi che portavano su quella pista, ma lì il discorso viene chiuso molto rapidamente, con la famosa frase: Kille tengon l’alibi”.
Però anche lei era già andato a visionare la bicicletta di Stasi e non l’aveva sequestrata…
“Io per la bicicletta di Stasi sono andato il giorno dopo, ma non era quella, e anche la testimone non l’ha riconosciuta infatti. Però il pm aveva fatto due decreti di perquisizione per l’abitazione di Stasi, in cui c’era scritto ’in qualsiasi altro luogo dove l’indagato ne ha la disponibilità’. E allora io dico: ma a chi stava al comando non viene in mente di estendere la perquisizione anche al capannone? Anche per l’eventuale ricerca dell’arma del delitto. Per la verifica che magari Stasi non abbia utilizzato quel bagno per lavarsi. Nessuno va a vederli e poi la colpa è di Marchetto perché non sequestra la bici sbagliata”.
Secondo lei perché nessuno è andato a sequestrarla?
“Non lo so, so solo che io ho letto il verbale della testimone che mi hanno messo sulla scrivania, sono andato al magazzino, non l’ho sequestrata e mi hanno ridotto ai minimi termini. Questi qui hanno omesso di fare gli accertamenti di un’indagine che doveva andare a 360 gradi e va tutto bene?”
Tra l’altro di una bici nera è di una ragazza bionda ne aveva parlato Marco Muschitta, l’operaio che puntò il dito contro Stefania Cappa e ritrattò.
“E perché in contemporanea, oltre che verificare se Muschitta ha detto la verità o meno, e le dico che ha detto la verità perché lo dimostrano le schede tecniche, nessuno fa la richiesta di perquisizione per andare alla ricerca di quello che ha detto Moschitta?”.
Perché è ritenuto inattendibile, mi scusi.
“È vero ma il giorno dopo c’è l’intercettazione che dice di aver detto la verità. Altrimenti cosa le facciamo a fare le intercettazioni, se poi non gli diamo retta? In realtà da quell’intercettazione il lavoro degli inquirenti si è concentrato non sul verbale di Muschitta, ma a dimostrare che Muschitta era un mitomane. Ma non ci sono riusciti, perché c’erano le carte”.
Che mi dice della sua conversazione con il capo di Muschitta, Alfredo Sportiello, in merito alla testimonianza dell’operaio?
“Sportiello dice che Muschitta è stato minacciato per ritrattare. Guardate i verbali. In procura quel giorno, mentre viene sentito Muschitta, il capitano Cassese e il maresciallo Pinto sentono la direttrice dell’Asm di Vigevano. E se guardate gli orari di quando finisce il verbale, ci sono circa 40-45 minuti dove Muschitta era lì da solo. L’unica persona che poteva avvicinarlo, come riferisce Sportiello, era Cassese. Poi il verbale riprende, Muschitta fa ancora quattro righe dove conferma tutto e poi dice che si è inventato tutto perché è uno stupido”.
Parliamo della nuova indagine in cui è indagato Sempio. La sta la sta vivendo come un riscatto personale?
“Sì. Sta succedendo proprio quello che ho sempre sostenuto io, che non sono state fatte le indagini a 360 gradi”.
Lei è stato anche convocato dai nuovi inquirenti. Ha risposto a tutto?
“Sì, ma non posso entrare nel merito”.
Una valutazione su Sempio?
“Non posso dire nulla, perché all’epoca non è stato da me attenzionato. Aspettiamo l’esito dell’incidente probatorio”.
Lei è entrato sulla scena del crimine. Pensa che Chiara sia stata uccisa da una o da più persone?
“Gli indizi di allora sono quelli di adesso e portano a due persone”.
Ci sono indizi, tipo orme, che non sono state considerate?
“L’altra sera, in una trasmissione, ho sentito dire, sulla spazzatura non attenzionata subito, che tanto non sarebbero serviti quei Fruttolo. Dico no comment, perché nel 2008 le indagini erano in alto mare. Come si fa ad a dire che non sarebbero servite, quando ancora contro Stasi non c’era nulla?”.
Crede che in carcere ci sia un innocente?
“Io non sono né innocentista né colpevolista. Sono le indagini che devono dimostrare l’innocenza o la colpevolezza di una persona. Togliamo Stasi dalla scena, lui è già stato giudicato e c’è una sentenza”.
Ma forse pronunciata “non oltre ogni ragionevole dubbio”, altrimenti non ci sarebbero le nuove indagini?
“Sul ’non oltre ragionevole dubbio’ posso essere d’accordo con lei, perché ho visto le mie sentenze”.
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