Economia

L’”I.R.A.” di Ursula così l’Europa prova a riprendersi il futuro

di Giovanni Vasso -

Ursula von der Leyen


 

Il 2023 sarà l’anno decisivo per il futuro dell’Unione europea. O, almeno, per comprendere se le istituzioni comunitarie hanno deciso di essere protagoniste, per davvero, sui nuovi scenari geopolitici o se, invece, si proseguirà a perseguire un ruolo di subalternità rispetto ai grandi attori sulla scacchiera internazionale. Dall’energia, che sarà la madre di tutte le battaglie, fino alle istituzioni, a cui occorrerà restituire efficacia, velocità e soprattutto credibilità dopo lo scandalo Qatargate: l’Ue si gioca tutto in dodici mesi.
L’approvvigionamento energetico rappresenta il primo, ineludibile, compito per Bruxelles. La guerra in Ucraina, in cui l’Ue ha preso decisamente le parti di Kiev, sta avendo conseguenze importanti sul cosiddetto fronte interno. L’aumento del prezzo delle materie prime energetiche, non solo economico ma soprattutto politico, ha fatto comprendere ai governi europei la necessità di affrancarsi dalla dipendenza dalle forniture straniere. Ciò vuol dire, innanzitutto, approntare una strategia. Bruxelles punta sulle rinnovabili, non per vezzo né per coscienza ambientalista. Ma perché, molto più prosaicamente, il territorio Ue non ha grandi giacimenti di gas né di petrolio. Bisogna, dunque, prima diversificare e poi gradualmente abbandonare le fonti fossili. In questo modo, al di là delle convinzioni ideali di ognuno, l’Europa non solo riuscirebbe a imboccare la via dell’autonomia energetica ma sarebbe in grado di ritrovare centralità nel settore dell’alta tecnologia, pulita ed efficiente. Energia e soft power.
L’Ue, però, deve avere il coraggio di far da sé. Anche perché, nel mondo, c’è chi si è messo pesantemente in gioco proprio per rilanciarsi nella corsa. Gli Stati Uniti, con l’Inflaction Riduction Act, investiranno in maniera consistente nelle rinnovabili, nelle energie pulite e a basso costo, e, soprattutto, lo faranno incentivando gli investimenti sul suolo nazionale. In pratica, Washington sta “richiamando” le grandi aziende che, in giro per il mondo, hanno impiantato stabilimenti portando lavoro, know how e tecnologie, dall’Asia fino all’Europa. Bruxelles deve rilanciare alla sfida dell’alleato americano. Ne è convinto, fra gli altri, il ministro all’Economia francese Bruno Lemaire: “Le decisioni prese dagli Stati Uniti per promuovere e sostenere l’industria green devono essere l’occasione di una risposta da parte dell’Ue”. Le Maire ha sottolineato l’urgenza di “un Inflaction Reduction Act europeo” e si è “rallegrato” perché Ursula von der Leyen ha sostenuto, da Bruges, che occorre riformare le regole Ue in materia di aiuti di Stato se in ballo c’è la transizione verde dei complessi industriali dei Paesi membri. Insomma, un tabù che crolla in nome del futuro e della sopravvivenza dell’Unione.

E a proposito di tabù, un altro tema gigantesco che la Commissione dovrà affrontare è quello relativo alla riforma del patto di stabilità. Se non si aprono i margini, e insieme i cordoni della borsa, sarà molto difficile per l’Europa anche solo avviarsi verso la transizione verde. Questo tema si innesta con un’altra (grandissima) sfida per l’Ue, cioè quella relativa all’organizzazione costituzionale, seppur in assenza di Costituzione. Le istituzioni europee devono poter decidere con efficacia e tempestività. La vicenda legata al tetto al prezzo del gas ha fatto venire a galla le farraginosità dei processi decisionali. Infine, c’è un altro nodo decisivo. Quello della credibilità stessa delle istituzioni europee. Lo scandalo Qatargate ha lasciato una ferita troppo profonda .

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