LIBERALMENTE CORRETTO – Il distributismo di Chesterton
Chesterton non ebbe l’ambizione di elaborare una sistematica compiuta di filosofia politica e scienza economica. Riteneva che non esistessero leggi universali e predittive del decorso economico e che il faticoso cammino della consorzio umano non dovesse essere guidato dallo Stato centralistico. Il suo distributismo si limitava a tradurre in programma politico la dottrina sociale della Chiesa cattolica. Alcuni vi hanno individuato una “terza via”, intermedia tra capitalismo e socialismo. A nostro avviso, piuttosto che intermediare tra l’una e l’altra dottrina politica, il distributismo va inteso come una corrente di pensiero interna al liberalismo, al quale l’accessoria denominazione di “capitalismo” non rende giustizia. Sul punto è necessaria qualche precisazione. La realtà fattuale di oggi non si lascia ricondurre con facilità alle categorie concettuali elaborate negli scorsi due secoli, le quali sono servite per tracciare la linea di demarcazione tra occidente e oriente. Basti pensare che nell’occidente di oggi la libera concorrenza di mercato si fa sempre più lontana, fino a divenire un miraggio irraggiungibile in molti ambiti, mentre la ricchezza finanziaria si concentra progressivamente nelle mani di pochissimi e il bavaglio del “politicamente corretto” ostacola perfino la libera circolazione delle idee. E d’altra parte, in oriente, il dispotismo “illuminato” dell’autorità politica ha concesso molti varchi all’ingresso del libero mercato. Ne conseguono un capitalismo sempre più socialista in occidente e un socialismo sempre più capitalistico in oriente. Da qui la necessità di individuare le vere linee di discrimine. Ne indichiamo tre: il ruolo dello Stato in rapporto alla proprietà privata; la conservazione delle istituzioni sociali; la pianificazione centralizzata. Se la proprietà privata dei mezzi di produzione e dei beni immobili è vincolata alle “concessioni” dello Stato, non vige il principio liberale, bensì quello socialista, a prescindere dall’eventuale accumulazione del capitale ufficialmente “privato”. Nell’universo cinese non manca siffatta accumulazione, ma la proprietà privata non si configura come un diritto, poiché ciò che è concesso può essere revocato in ogni momento. Emblematica la vicenda di Jack Ma. Il vero diritto nasce originario e preesiste alla legislazione e agli atti amministrativi; si afferma non per atto autorizzativo del potere politico, bensì per vigore proprio e intrinseco e dunque anche contro lo Stato. Insomma il vero discrimine tra il liberalismo e il socialismo non risiede nell’accumulazione del capitale, bensì nel carattere originario del diritto di proprietà. Per questa via si perviene al secondo elemento differenziale. Il diritto (non solo quello di proprietà) preesiste allo Stato in quanto si è formato nell’ordine spontaneo della convivenza, cosicché riconoscere il diritto significa necessariamente riconoscere l’autonomia delle istituzioni sociali che ne hanno reso possibile la nascita; a partire dalla famiglia. E dunque il secondo discrimine tra il liberalismo e il socialismo risiede nell’intangibilità delle relazioni sociali, regolate da norme consuetudinarie di civiltà, istituzionalizzate nella famiglia e nei corpi intermedi liberamente costituiti. Siffatto ruolo sussidiario dello Stato liberale, che riconosce l’autonomia degli altri corpi istituzionali, ci conduce al terzo elemento differenziale: la pianificazione. L’autorità politica, che pianifica il “progresso” economico-sociale del popolo, si erge per ciò stesso al di sopra di esso e delle sue libere forme associative; ovviamente pianifica, perché conosce la meta da raggiungere e la via da seguire; al contrario il laissez faire presuppone l’ignoranza della meta. Il socialismo pretende di essere scientifico, giacché predice il futuro e lo indica ai consociati, gentilmente invitati ad omologarsi. Al contrario, il liberalismo non ha una meta da raggiungere e ignora le leggi “scientifiche” del preteso progresso. Tradotto in termini religiosi: lo Stato socialista si erge a divinità, lo Stato liberale lascia fare alla provvidenza divina. Ciò posto, la dottrina sociale della Chiesa cattolica, per ciò stesso che asserisce il ruolo sussidiario dello Stato, non può dirsi intermedia ed equidistante.
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