Attualità

LIBERALMENTE CORRETTO – Lo strano caso dell’ufficio della discordia

di Michele Gelardi -


In questi giorni si è aperta una querelle tra l’ufficio del Massimario della Corte di Cassazione e il governo in carica, per via di una relazione redatta dall’ufficio, particolarmente critica a riguardo del decreto sicurezza. La querelle appare particolarmente “strana”, perfino nell’Italia delle mille “anomalie” politico-istituzionali, solo che ci si ponga una domanda preliminare: gli ausiliari del giudice appartengono all’ordine giudiziario o a quello amministrativo?

Se riteniamo che il compito del giudice sia solo quello di pronunciarsi su una controversia in corso, interpretando le norme giuridiche vigenti, dobbiamo concludere che l’attività collaterale e ausiliaria svolta dagli uffici giudiziari non abbia natura giudiziale, bensì amministrativa. Tutto ciò che precede il giudizio non è giudizio; serve a delimitare e istruire la “materia del contendere”, ma solo il giudice si pronuncia sulla vicenda controversa e la sua sentenza è super partes, perché emessa nel nome del popolo italiano in ossequio alla legge valida erga omnes.

Allo stesso modo, tutto ciò che segue il giudizio non è giudizio; serve ad attuare la voluntas legis, dichiarata dal giudice nella sua sentenza. Ne deriva che solo l’organo che emette la sentenza appartiene, in senso stretto, all’ordine della giurisdizione, per la natura della sua attività. Esemplificando: gli uffici di cancelleria svolgono il compito di predisporre l’oggetto del giudizio e dunque non afferiscono all’ordine dei giudici, bensì a quella branca dell’ordine amministrativo, che chiamiamo “amministrazione della giustizia”. Allo stesso modo, l’apparato penitenziario, che attua la voluntas legis espressa nella sentenza del giudice penale, appartiene alla medesima branca dell’ordine amministrativo.

Fin qui nulla quaestio; nessuno dubita che cancellieri e polizia penitenziaria appartengano all’apparato amministrativo guidato dal Ministro della Giustizia. Ma alla stessa conclusione non dobbiamo forse pervenire a riguardo dell’ufficio del Massimario della Corte di Cassazione? Quali sono i suoi compiti? L’ufficio del Massimario svolge un’attività di ricerca sulle sentenze civili e penali, emesse dalla Corte di Cassazione, di cui estrapola e sistematizza le massime, ossia i principi di diritto che possano fungere da criteri guida nei casi simili. Si tratta di una funzione basilare per assicurare l’uniformità giurisprudenziale, atta a garantire ai cittadini la prevedibilità della decisione giudiziale.

Non si può sottovalutare l’importanza di questo indispensabile apporto all’esercizio della funzione di nomofilachia, propria della Suprema Corte; al contempo, è bene precisare che l’ufficio non “elabora” le massime, ma le raccoglie. Indica (ai giudici di merito) la via dello stare decisis, sulla base di ciò che è stato deciso (dalla Suprema Corte); ma non decide alcunché su qualsivoglia thema decidendum. In ragione di ciò, risulta chiaro che svolge un’attività di supporto all’esercizio della funzione giurisdizionale (altrui). Non per nulla viene chiamato “ufficio”, e cioè apparato di collaborazione e supporto, e non già “organo”, e cioè soggetto che emana atti di volontà, definitivi ed efficaci all’esterno. Che sia composto da 67 magistrati poco importa ai fini di qualificare e classificare la sua funzione.

Non è l’abito che fa il monaco. I 67 ex giudici non svolgono alcuna funzione giudiziale e dunque non possono non appartenere all’ordinamento amministrativo. Ma se vi appartengono, in funzione di collaborazione interna, chi è il loro “capo”? Se, nel nostro singolare Paese, irriducibile alla “normalità”, il ministero della giustizia è ancora guidato dal Ministro, non possiamo non convenire che il vertice della gerarchia amministrativa (del cui apparato fa parte l’ufficio) risulta essere Carlo Nordio. Assistiamo dunque allo strano caso di un ufficio (non avente, per sua natura, funzione di rappresentanza esterna) che non comunica le proprie perplessità all’organo sovraordinato, per vie interne, ma le rende pubbliche, innescando inevitabilmente una polemica politica e istituzionale. Ha forse ragione il presidente emerito della Corte costituzionale, Sabino Cassese, che ravvisa nella presenza di troppi magistrati nell’apparato del ministero della giustizia una delle cause principali della “invasione di campo”?


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