Salute

L’importanza della comunicazione all’interno del Sistema Sanitario

di Redazione -


E’ ormai chiaro a tutti il fondamentale ruolo della comunicazione nelle situazioni di emergenza come quella che stiamo vivendo. E se dalla comunicazione “verso l’esterno” dipende l’efficacia dei provvedimenti adottati, quella “verso l’interno”, in un sistema sanitario come quello italiano distribuito su tutto il territorio nazionale, è determinante per garantirne l’efficienza. Su questo tema può essere essere utile una riflessione sul testo “Salute, felicità e benessere nei luoghi di lavoro: il ruolo dei modelli gestionali e delle strategie comunicanti all’interno dei sistemi”, del quale proponiamo un estratto, pubblicato nel libro del giornalista esperto di informazione e comunicazione Mauro De Vincentiis “La comunicazione interna” (CDG Edizioni) dal dott. Massimo Cecaro, professore a contratto dell’Università di Teramo di “Scientific communication I e II”; giornalista, vice-presidente dell’Associazione Stampa Medica Italiana (ASMI) e Resident Member della Medical Journalists Association (Londra), e dalla dott.ssa Lucia Isolani, professore a contratto in Medicina del Lavoro presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Urbino e, in passato, alla Scuola di Specializzazione in Medicina del Lavoro presso l’Università di Perugia e Tor Vergata di Roma.  Nei luoghi di lavoro il concetto di salute assume un carattere specifico, in quanto viene ad essere trasferito dalla popolazione generale a quella lavorativa, che ne rappresenta un sottoinsieme particolarmente interessante dal punto di vista prevenzionistico e della comunicazione. La salute occupazionale ed i suoi obiettivi sono definiti congiuntamente dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro – ILO (1) e dall’OMS nel 1950, nell’ambito della disciplina della Medicina del Lavoro, e sono stati rivisitati nel 1995. Scopo primario della Medicina del Lavoro è la promozione ed il mantenimento del più elevato grado di benessere fisico, mentale e sociale dei lavoratori in tutte le attività; fatto questo che si traduce nell’attuare strategie di prevenzione e di comunicazione, per evitare che i lavoratori si ammalino, collocandoli e mantenendo gli stessi in un ambiente di lavoro idoneo alle loro capacità fisiologiche e psicologiche ed adattando, per quanto possibile, il lavoro all’uomo e non viceversa. In Europa il concetto di prevenzione nei luoghi di lavoro muta profondamente con la Direttiva Quadro 89/381/EEC che viene recepita negli Stati membri e in Italia con il DLgs 626/94, con profonda modifica dello scenario in termini di attori protagonisti così come dei compiti, degli obblighi e delle responsabilità loro attribuite. Il DLgs 626/94 – ed ancor più il successivo DLgs 81/2008 – decreta un nuovo modello di gestione della prevenzione aziendale, basato sulle azioni di quattro figure-cardine: Datore di Lavoro, Responsabile del Servizio Prevenzione e Protezione (RSPP), Medico Competente e Rappresentante dei Lavoratori della Sicurezza (RLS). Si tratta di un modello che prevede una rete di soggetti comunicanti in maniera trasversale e verticale al contempo, in cui la prevenzione non è demandata al singolo, bensì distribuita e condivisa all’interno del sistema aziendale, coinvolgendo il Datore di Lavoro e i lavoratori tutti, nella figura del loro rappresentante (RLS). Le quattro figure si incardinano in tale rete, come i nodi portanti della stessa, con compiti, obblighi e responsabilità ben chiare. La sicurezza tecnologica da sola non è sufficiente a tutelare la salute e i lavoratori, se non viene accompagnata da una programmazione tanto più efficace quanto migliori sono l’organizzazione del lavoro, i comportamenti delle persone e la comunicazione interna. Pertanto, il nuovo modello gestionale della prevenzione prevede l’intervento attivo, collaborativo e partecipato dei soggetti anzidetti che, ciascuno con il proprio compito e ruolo, nel rispetto delle reciproche competenze, incidono sull’efficacia delle azioni e quindi sui risultati della prevenzione. La capacità di comunicare con chiarezza ed efficacia e di scambiarsi le informazioni diviene fondamentale: c’è ampia evidenza nell’attribuire alla comunicazione un ruolo centrale nell’influenzare il clima di sicurezza e i comportamenti ad essa orientati. Non a caso il legislatore pone la formazione e l’informazione dei lavoratori, sui rischi professionali insiti nella mansione lavorativa svolta, tra gli strumenti strategici della prevenzione: tanto più queste saranno adeguate per contenuti, forma e capacità di trasmissione, tanto maggiore sarà la ricaduta benefica in termini di prevenzione di infortuni e malattie professionali. I processi comunicativi, infatti, sono in grado di attivare conoscenza, motivazione e partecipazione, elementi fondamentali per modificare i comportamenti di sicurezza dei membri di un’organizzazione. La letteratura scientifica, riferita a realtà aziendali internazionali, indica la necessità di promuovere la visibilità dei comportamenti di sicurezza e di incentivare la frequenza e la qualità delle interazioni comunicative tra responsabili della sicurezza e lavoratori. Stili di leadership transizionali e partecipativi si sono dimostrati efficaci a tutti i livelli di gestione della sicurezza, dai supervisori ai dirigenti. Il riconoscimento del ruolo di leader ai supervisori della sicurezza e l’utilizzo di feedback tra membri dell’organizzazione rappresentano forti incentivi in termini di prevenzione. Queste soluzioni sono semplici, a basso costo, e basate sullo sviluppo di contatti personali. L’applicazione di tali strategie nella relazione tra Datore di Lavoro, RSPP, Medico Competente e RLS potrebbe facilitare un maggiore coinvolgimento degli attori coinvolti nel sistema sicurezza.  Il quarto nodo della rete comunicativa è identificato nella figura del RLS, la persona eletta o designata per rappresentare i lavoratori, in merito agli aspetti della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro. Il RLS riveste un ruolo centrale di mediatore sia all’interno dell’azienda che nelle relazioni tra azienda l’organizzazione e l’esterno. Poiché è il tramite privilegiato dei lavoratori, deve favorirne la partecipazione nelle questioni che attengono alla salute e sicurezza sul posto di lavoro. La Legge 123/2007 e il DLgs. 81/2008 ribadiscono il carattere non conflittuale, partecipativo e collaborativo da attribuire al ruolo del RLS. In particolare, specifiche forme di collaborazione e partecipazione attiva devono essere previste per quanto riguarda identificazione, valutazione e gestione dei rischi lavorativi ed ambientali.  L’attuale modello di prevenzione aziendale spinge quindi i suoi attori ad una politica in cui le strategie relazionali sono finalizzate a creare sinergie in cui si rafforzano i punti comuni e si minimizzano le differenze. Su questo confronto tra soggetti che condividono un vocabolario comune si gioca l’efficacia del sistema di prevenzione ovvero la capacità di tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori. Se il concetto di sicurezza è ancorato a disposizioni tecniche, normative e di comunicazione, sul tema della salute il sistema di prevenzione aziendale va oltre ciò che deve essere fatto, poiché imposto dalla norma, proponendo la promozione della salute come un impegno etico e sociale che considera prima del lavoratore la persona e non si limita a considerare la tutela della salute e della sicurezza nel perimetro ristretto dell’azienda, quanto piuttosto la intende come un bene sociale da condividere più ampiamente. Interventi di promozione della salute, che rappresentano un’espressione della responsabilità sociale del Datore di Lavoro, e che rimandano a programmi a volte anche impegnativi economicamente, indicano l’impegno per tutelare il benessere psichico e fisico dei lavoratori. Attraverso questi programmi, l’azienda va ad attuare uno dei cardini della prevenzione primaria e ad assolvere il debito nei confronti dei principi definiti dall’OMS e dall’ILO. Nello stesso modo, assumono importanza sempre maggiore le relazioni esistenti tra salute occupazionale, salute ambientale, gestione di qualità, sicurezza e gestione del prodotto, salute e sicurezza pubblica e di comunità. Il benessere delle organizzazioni nasce negli anni Cinquanta del secolo scorso, in concomitanza di profondi mutamenti politici, economici, sociali e culturali che si riverberano in maniera importante sul mondo del lavoro. Attualmente, tenuto conto che nel contesto lavorativo si trascorre sempre maggior tempo, dell’alquanto critico contesto economico del mercato e dell’aumento delle situazioni di disagio, sofferenza e malessere personali di tipo extra-lavorativo, vi è urgenza di benessere organizzativo e di comprendere quanto questo dipenda da fattori legati al lavoro; o, invece, sia riferibile al contesto extra-lavorativo. Peraltro secondo la definizione dell’Organisation for Economic Co-operation and Development (OECD) (2), il benessere presente è costituito da due domini principali: le condizioni materiali di vita (reddito e ricchezza; lavoro e retribuzioni; condizioni abitative) e la sua qualità (stato di salute; bilanciamento dei tempi di vita e di lavoro; istruzione e competenze; supporto sociale; impegno civico e governance; qualità dell’ambiente fisico; sicurezza personale; benessere soggettivo). In realtà, l’obiettivo della prevenzione non è soltanto garantire la salute nei luoghi di lavoro, ma anche preoccuparsi del benessere del lavoratore. La Dichiarazione d’Indipendenza americana del 4 luglio 1776, stabiliva che “a tutti gli uomini è riconosciuto il diritto alla vita, alla libertà, e al perseguimento della felicità”. Forse erano altri tempi, forse vi era la consapevolezza che il concetto di vita sia davvero e ineludibilmente legato a quelli di libertà e di felicità, senza le quali la vita rischia di assumere un concetto più vegetativo e dove la felicità può prescindere dal grado di salute e addirittura dal grado di benessere. 

Red


Torna alle notizie in home