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L’incognita made in Usa: La sfida fra Ron e Don per la Casa Bianca

di Ernesto Ferrante -


Un vento di destra spira sulla Casa Bianca. Dopo i sondaggi di Emerson, Harris e Rasmussen, anche quello più recente del Washington Post e della ABC, dà Donald Trump in vantaggio rispetto all’attuale presidente americano, Joe Biden. Il 5 novembre 2024 potrebbe tingersi di rosso.
Secondo le rilevazioni, i consensi per Biden sono diminuiti. Sul WP si legge che “alla domanda su chi sosterranno nel 2024, il 44% degli adulti in età di voto risposto che voterebbe “sicuramente” o “probabilmente” per Trump, mentre il 38% punterebbe su Biden. Gli indecisi e quelli orientati diversamente, rappresentano il 18% degli intervistati.
L’indice di gradimento del leader dem è calato dal 42% dei mesi scorsi al 36%. A determinare il giudizio negativo sono la situazione economica del Paese e la gestione della questione migratoria. Il 51,4% degli americani, stando alla media fatta da Real Clear Politics, sarebbe scontento dell’operato del presidente a fronte di un 44,3% che invece si è detto soddisfatto. Vi è poi da considerare l’impatto della sfiancante trattativa sul debito, motivo di insoddisfazione per l’ala liberal dei democratici, che si rispecchia nel pensiero dell’economista Paul Krugman. Anche se non sono da sottovalutare le ricadute nel fronte opposto.
Donald Trump appare al momento favorito, con un effetto traino per i GOP. Sleepy Joe avrebbe chance di vittoria alle elezioni presidenziali soltanto se fosse Ron DeSantis, attuale governatore della Florida il suo sfidante per la Casa Bianca. Il lancio della candidatura di DeSantis alla nomination repubblicana per Usa 2024 non è andato nel migliore dei modi. I media hanno titolato, con un gioco di parole impietoso, “DeSantis Desaster”.
Il dialogo su Twitter con il vulcanico e controverso Elon Musk, nuovo nume tutelare della destra più moderata, non ha portato i frutti sperati. Stando a quanto è emerso da un rilevamento della Cnn, il 53% degli elettori repubblicani punta sul tycoon, mentre solo il 26% sceglie il governatore. In pesante ritardo e con pochissime possibilità appaiono l’ex rappresentante Usa alle Nazioni Unite Nikki Haley, l’ex vice presidente Mike Pence, il senatore della South Carolina Tim Scott e l’ex governatore del New Jersey Chris Christie.
La terza posizione di DeSantis, cristallizzata nel suo né con establishment né con Trump, sembra non fare breccia in un elettorato che preferisce i colori decisi alle sfumature, gli slogan ai ragionamenti, le ricette alle analisi. Il MAGA prevale ancora sul “Make America Florida”, dell’italo-americano candidato.
Affermare che “per raddrizzare questa nave bisogna riportare il buonsenso nella nostra società, la normalità nelle nostre comunità e l’integrità nelle nostre istituzioni” e che “il nostro confine è un disastro, il crimine infesta le nostre città, il governo federale rende più difficile per le famiglie arrivare a fine mese”, sembra non aver scaldato i cuori come i suoi più stretti collaboratori si aspettavano. Per Ap-Norc gli Stati Uniti restano una nazione divisa e molti cittadini ne attribuiscono gran parte della responsabilità ai media.
“Annunciare la campagna su Twitter è perfetto per Ron DeSantis, così non deve interagire con le persone e i media non possono fargli domande”. Così Donald Trump ha attaccato il suo prossimo avversario nelle primarie repubblicane per aver scelto di ufficializzare la sua candidatura sul social di Musk, che è stato lungo tempo il suo mezzo di comunicazione preferito.
Anche Karoline Leavitt, portavoce di Maga Inc, un Pac che raccoglie fondi per la campagna di Trump, ha duramente criticato la scelta di Ron DeSantis: “Questo è uno dei lanci di campagna più lontano dalla gente della storia moderna: l’unica cosa peggiore di questo lancio di campagna di nicchia su Twitter, è l’after party di DeSantis con la super elite nel resort di Miami”, ha detto Leavitt, riferendosi alla riunione in un albergo di lusso dei super finanziatori repubblicano che piace “alla gente che piace”.
A destra, sta prendendo vigore anche la discesa in campo del governatore della Virginia Glenn Youngk, che in un primo momento aveva deciso di mettere da parte le sue ambizioni di un posto al sole di fronte allo strapotere nelle indagini demoscopiche di Donald Trump. Youngkin, 56 anni, ha battuto nelle elezioni del novembre 2022 il governatore democratico uscente Terry McAuliffe.
Ancora tutto da verificare è, infine, il peso dell’ala più estrema, dichiaratamente trumpiana. E’ il caso di Tommy Tuberville, senatore repubblicano dell’Alabama, finito al centro di un polverone qualche mese fa per aver dichiarato testualmente: “Lei crede che un nazionalista bianco sia un nazista? Io non la vedo così. Per me un nazionalista bianco è un repubblicano di Trump”.
L’ex presidente Usa Trump ha accolto e legittimato certe tematiche, dandogli dignità e spazio nell’agenda politica del Partito Repubblicano, che in grande misura rimane saldo nelle nelle sue mani.
La “partita” tutta interna al Grand old party si giocherà anche con lo scambio di colpi tra Mitch McConnell, senatore repubblicano del Kentucky e lo Speaker della Camera Kevin McCarthy, parlamentare californiano, il quale è riuscito a prevalere dopo una serie di quindici votazioni, proprio grazie agli ultras del magnate che, in caso di disallineamenti, potrebbero presentargli un conto molto salato, mettendo fine della sua leadership. Il suo “ci occuperemo delle sfide a lungo termine dell’America, il debito e l’ascesa del Partito comunista cinese”, non è frutto del caso.

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